Irezumi è il termine tecnico che identifica i tatuaggi giapponesi, quelli che nei film hollywoodiani compaiono sempre durante le sparatorie tra i membri della Yakuza. Ma è un termine che ha a che fare soprattutto con l’inchiostro Sumi: l’inchiostro nero. Ora, giustificare un incipit del genere in relazione all’operato di un illustratore francese, potrebbe sembrare un compito impossibile se non fosse che qui si sta per scrivere di Nicolas Nemiri, e tutto nelle sue opere ammicca al Sumi (facendo di lui la pecora nera delle bande dessinée d’oltralpe).
Perché la sua è un’arte “nera” come le formule magiche delle streghe cattive, degli stregoni oscuri, un’arte di malefici e graffi e sudiciume, che come gli intrugli delle pozioni, mantiene tuttavia una sua ineffabile armonia, una sporca fluidità, liquida, morbida, che nel suo caso non disprezza una certa patina materica nella commistione tra china e acrilici, tempere e inchiostri. Un’arte che incarna più di altre il bipolarismo mobile del Tao (col suo Yin e Yang) e allo stesso tempo il sintetismo carismatico di un René Gruau. Come poi un francese nato nel 1975, che ha frequentato la scuola delle Belle Arti di Angouleme, abbia saputo assimilare così profondamente un certo sentore orientale, rimane tutto da scoprire. Certo è che i suoi personaggi, un po’ alla Kishimoto, trasportano lo spettatore in un mondo antico dove non c’è scontro che non si combatta alle armi bianche, dove non c’è vestito che non sia un Kimono dai vasti motivi ornamentali, dove i demoni governano la natura e dall’acqua bassa delle risaie sale alle vette dei monti una nebbia fitta come latte.
Degno di nota in tutto ciò è il suo occidentale pragmatismo che non sublima i tratti oculari nipponici in bulbi oculari farseschi, da Manga: le sue dame orientali hanno i modi sanguinolenti di Gogo Yubari, ma soprattutto lo sguardo fatale di Lucy Liu: quelle linee strette, acute, rapide, che delimitano occhi penetranti e imperscrutabili come serrande mezze chiuse ai negozi dell’anima. Dame guerriere sono uno tra i soggetti preferiti, eco delle antiche casate, eco dell’imperatrice Jingu, di Fa Mulan (quella vera, non quella edulcorata della Disney), delle Onna-Bugeisha: abili coi coltelli a lama corta, scaltre e inafferrabili.
Dame che compaiono anche nelle più rade illustrazioni policrome memori degli ukiyo-e, soprattutto quelli perturbanti di Kuniyoshi (il più splatter tra gli antichi). Con la differenza che alle forme definite delle stampe, fanno nelle opere di Nemiri comparsa dei piani fluttuanti di colori mossi e frastagliati: le tonalità miste pastello del carta da zucchero, dell’ocra, del beige, contrappuntate qua e là da toni accesi di fucsia e rossi. Opere dall’elevato gradiente evocativo, avvolte in suggestive tonalità fiabesche.
Per questo, nonostante le diverse pubblicazioni francesi nell’ambito del fumetto, rimane innegabile la sua naturale propensione all’illustrazione pura, all’immagine libera. Rimane il fatto che nessuna di esse (siano pubblicazioni o semplici illustrazioni) è mai stata presa in considerazione dall’editoria italiana, o dal giornalismo nerdistico d’assalto, sicché tocca al sottoscritto, con le sue certamente inadeguate supponenze, accogliere nella lingua italiana un francese nippofilo che avrebbe molto da dire, o meglio, molto, molto da mostrare.
Giovanni Scarpa
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