Il titolo, quantomai altisonante, vorrebbe imitare Genio del cristianesimo di François-René de Chateaubriand e Genio del paganesimo di Marc Augé in una sorta di apologia del vegetarianismo, ma con alcune riserve. La questione nasce da un’esperienza empirica di vegetarianismo della durata di cinque giorni, che potrebbero sembrare pochi ma che sono stati comunque fruttuosi e in grado di fornirci materiale per un articolo. Orbene come disse uno dei più grandi storici italiani, Arnaldo Momigliano, prima di scrivere su qualsiasi argomento è bene fare un “esame di coscienza”, cioè è necessario fare ammissione del proprio credo, posizione politica, ecc., in modo da rendere il lettore consapevole di chi è l’autore e della sua parzialità. La consapevolezza della parzialità, cioè dell’appartenenza dell’autore a qualcosa è la sua forza, è, cioè, ciò che gli permette di esperire un incontro con qualcosa che è altro dal suo orizzonte culturale. E’ necessario quindi presupporre nel nostro caso un contesto tradizionale e culturale occidentale e cattolico.
Ma veniamo ai fatti: pur rimanendo amante della cucina a base di carne non sembrerebbe improbabile una dieta vegetariana. Seppur manchevole di certi piaceri, nutrirsi esclusivamente di verdure o frutta, o al più derivati da animali come formaggio e uova non è impossibile né dal punto di vista fisiologico né da quello psicologico.
Tralasciando però le problematiche meramente pratiche la nostra analisi si sposterà su altri lidi. La questione di fondo di questo articolo è: qual è lo scopo del vegetarianismo? O meglio lo scopo di mangiare frutta e verdura per un vegetariano? Una veloce indagine sul web ci mostra come il target non abbia nulla di trascendente: vi basti visitare il sito vegetariani.it e aprire il menù a tendina sotto la voce Vegetariani perché e… magia! Abbiamo già le risposte: per la salute, per il pianeta, per gli animali. Non ci sarà nemmeno bisogno di aprire il link di una di queste tre risposte per capire su cosa si basano le motivazioni vegetariane. Chi è vegetariano è più in salute, salva il pianeta e gli animali. Come vi dicevo nulla di trascendente o mistico.
Eppure ci fu un tempo in cui essere vegetariano era esattamente pensato per provare quello che abbiamo provato noi in principio, cioè una certa mancanza di piaceri, o meglio un rifiuto dei piaceri della carne. In direzione ostinata e contraria come direbbe De Andrè, ci poniamo qui a difesa del vegetarianismo non come è inteso oggi, cioè non come moda o ideologia ecologista, ma come strumento di purezza e allontanamento dal mondo profano. 540 d.c., San Benedetto da Norcia fondatore dell’ordine benedettino inizia la stesura della Regola, che avrà nei successivi due secoli una diffusione enorme. Nel capitolo XXXVI De infirmi fratibus (I fratelli ammalati) c’è una frase che fa al caso nostro: “Anche il mangiar carne sia concesso ai malati molto deboli perché si rimettano, ma quando stanno meglio si astengano tutti, come al solito, dalle carni”[1]. San Benedetto non è un fanatico, permette a chi sta male di mangiar carne per rimettersi in forze, ma una volta guarito deve astenersi dalla carne come al solito, suggerendoci che siamo in presenza di un’eccezione e che la regola è l’astensione dalle carni. Ma quali sono i punti su cui si regge questa regola? C’è innanzitutto una dimensione ascetica: la rinuncia della carne è una fatica aggiuntiva che mortifica il corpo e permette l’ascesi dell’anima. Ma c’è anche una forma di polemica contro il paganesimo, secondo il quale era usanza, tramite il sacrificio di un animale, condividere un pasto rituale a base di carne con le divinità pagane.
Se facciamo più attenzione però possiamo carpire un motivo più profondo. Dobbiamo però partire dal principio, cioè da Adamo ed Eva, prima della cacciata dal Paradiso Terrestre. In Genesi 1, 29 Dio dice rivolto all’uomo: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.” L’uomo prima del peccato originale si nutriva esclusivamente di vegetali. Tuttavia, anche dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre, tutta la discendenza di Set, terzo figlio di Adamo, si può supporre abbia continuato a mangiare solo vegetali, mentre la discendenza di Caino iniziò a compiere violenza nei confronti degli animali e a nutrirsene. Questo fino al diluvio universale, infatti in Gen 9, 3-4, troviamo scritto: “Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il sangue.” Qui è necessario un piccolo approfondimento: il sangue è considerato il principio vitale, bere il sangue di un animale o mangiare la sua carne con il sangue è considerato come appropriarsi della vita di un altro essere vivente ed è vietato in quanto la vita è proprietà di Dio. L’atto di violenza supremo è infatti lo spargimento del sangue. L’uomo aveva iniziato a compire atti di violenza dopo l’uscita dal Paradiso Terrestre a cominciare da Caino (“La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” dice Dio a Caino in Gen 4,10); la violenza è contro gli animali e contro l’uomo, tanto che Dio decide di mandare il diluvio per purificare il mondo (l’acqua che lava i peccati come nel battesimo). Ma torniamo ai nostri monaci, ora abbiamo un elemento in più a favore del vegetarianismo, ed è un argomento forte: il monaco vive la vita nel cenobio come un ritorno all’età d’oro, al Paradiso Terrestre, anzi sarebbe più giusto dire che anticipa la venuta del Regno nel mondo mondano. Per il monaco benedettino il monastero è l’immagine terrena della Gerusalemme Celeste, della Città di Dio, il che comporta anche un ripristino dell’ordine pre-caduta.
Ma sorge spontanea una domanda: Gesù non era vegetariano, nel Vangelo più volte viene descritto l’atto di mangiare pesce, Luca 24,42-43, Matteo 14,17-21, e se la vita del cristiano dovrebbe essere quella della imitato cristi perché i monaci dovrebbero fare qualcosa di diverso? Dobbiamo tornare a Gen 1 per spiegare questo apparente paradosso: il quinto giorno Dio crea i pesci e volatili, anzi sarebbe più corretto affermare che Dio ordina alle acque di brulicare di pesci e il cielo di volatili, ma per ora tralasciamo questo particolare. Ebbene, è però il sesto giorno che Dio ordina alla terra di produrre bestiame e bestie selvatiche, lo stesso giorno della creazione dell’uomo. Secondo la Bibbia gli animali terrestri hanno uno status diverso da pesci e volatili. Uccidere pesci o volatili non è considerato atto violenza perché nella fisiologia biblica essi non possiedono sangue. In questo senso va visto l’atto di mangiare pesce da parte di Gesù, e quindi anche l’astensione dalle carni, di origine quadrupede per intenderci, da parte dei monaci, che invece in alcuni momenti particolari come la malattia potevano nutrirsi di pesci e pollame. Anche Giovanni Battista nel deserto vive di miele selvatico e locuste, quest’ultime prive di sangue e quindi non soggette ad atto di violenza. (A parte deve essere trattata la questione del capretto o agnello mangiato a Pasqua. In quasi tutte le rappresentazioni dell’ultima cena infatti vediamo Gesù e gli Apostoli nutrisi di carne di agnello, tuttavia in questo caso si tratta di una simbologia completamente a sé stante rispetto a ciò che abbiamo detto fino ad ora. Il giorno della Pèsach è un giorno particolare e quindi il nutrirsi di carne, attenzione non una carne qualsiasi, non compromette la nostra tesi generale. Lungi da noi concludere che Gesù nel corso della sua vita non abbiamo mai mangiato carne di quadrupede, anche se i Vangeli tenderebbero a suggerirci quest’ultima ipotesi. Probabilmente anche la normale dieta di qualsiasi altro giudeo del tempo sarebbe stata scarsa di carne di quadrupede, quindi ritengo inopportuno soffermarsi ancora sulla questione).
Ciò che risulta evidente è un cambiamento dell’obiettivo che aveva il vegetarianismo allora rispetto a quello che ha oggi. Oggi il vegetariano ha come scopo la salute propria, del mondo e degli animali, il monaco invece era vegetariano per abbandonare i piaceri della carne, per mortificare il corpo in vista della salvezza e del Regno. Sembrerebbe come se il termine latino salus, salutis, che può essere tradotto con salvezza o salute, abbia perso oggi, il primo significato a favore del secondo. La salute del corpo è diventata il “nuovo dio”, o se non la salute il successo nel mondo. Una volta era la salvezza dal mondo, oggi è il successo nel mondo la nuova vocazione dell’uomo.
Fabio Darici
[1]
Salvatore Pricoco (a cura di), La regola di San Benedetto e le regole dei Padri, Arnaldo Mondadori Editore, 2011
Rispondi