Gli inediti perpetui di Hugo Pratt

Forse solo riunendo insieme l’intero corpus di scritti sui diversi fumettisti italiani di sempre, si potrebbe in qualche modo raggiungere un totale di pagine pari a quelle che negli ultimi anni si sono spese ad analizzare, descrivere, narrare, e rinarrare l’opera di Hugo Pratt. Perché senza ombra di dubbio egli incarna magistralmente l’idea del fumettista di successo, incurante del mondo, eppure immerso come nessun’altro nelle pieghe e nelle piaghe del vivere. Così, mentre Corto Maltese rimbalza tra le pagine del Corriere e quelle de Le Figaro (e si cerca di fargli fare ancora qualche scorribanda tra le vignette di una graphic novel o di un romanzo)[1], mentre mostre e saggi illuminano gli aspetti reconditi e le filosofie dei suoi personaggi[2], sempre più si è alla ricerca di un consolidamento onnicomprensivo del suo operato, una sorta di disseminata, ma totalizzante opera omnia. Si indaga, come ha fatto la Scarpa, sulle sue passate esperienze argentine[3], si pubblicano, come ha fatto egregiamente la Cong, volumi massicci con le sue bozze e le sue serigrafie[4], persino esperienze giovanili come quella di Asso di Picche trovano accoglienza: tutto si raccoglie, tutto si indaga, tutto si cerca. E giustamente, poiché l’opera di questo genio si spande come l’Oceano Pacifico sul quale egli ha spesso fatto navigare i suoi “gentiluomini di fortuna”, si dirama in labirinti di significato come le calli veneziane, e attinge a storie antiche come le radici degli alberi nei pressi di Fort Wheeling.

Eppure, alla reperibilità generale, alla florida ramificazione di nuove indagini, molte opere sfuggono, degli originali si nascondono.

Mi piacerebbe, a questo punto, poter scrivere frasi come: “Ma eccovi le immagini in esclusiva di queste opere” o sentenziare: “L’incredibile ritrovamento dei dipinti inediti” ma, ahimè, purtroppo ci si ritrova a poterle solo, attualmente, immaginare.

E a questo, forse, serviranno le immagini d’accompagnamento al breve scritto presente: ad immaginare un contesto figurativo che darà il via al percorso italiano di Pratt.

fig.1

Siamo nel bel mezzo degli anni ’60, Hugo è tornato ormai dall’Argentina e vive con la moglie Anna nella bella casa di Malamocco, tra mare e laguna: Corto Maltese deve ancora presentarsi, ma le mangiate da Scarso non sono così estranee al “fumettaro”. In questo periodo non sempre facile[5], mentre la Pop Art di Lichtenstein conquista Venezia e saccheggia il mondo del fumetto, il Nostro organizza la sua personale vendetta, il suo originale contrattacco. Comincia infatti ad eseguire una serie imprecisata di dipinti di grande formato (100x100cm), uno è ancora appeso, incompleto, a casa si Lele Vianello [fig.2], alcuni dei quali andranno poi a dar vita a due mostre: La Telefonata del 1965, e A Tale of Tintagel del 1967, rispettivamente presso le gallerie Numero e L’Elefante di Venezia.

fig.2
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Ora, se alcune delle tele esposte nell’arco di queste esposizioni sono state reperite, la maggior parte (soprattutto quelle che esulano da un contesto prettamente espositivo) rimane ancora nascosta nelle case dei privati che le hanno acquistate. Opere certamente “minori”, ma che assumono una certa connotazione suggestiva, proprio in forza della loro irreperibilità. Alcune, dicevamo, della prima esposizione sono state nel tempo rintracciate [fig.3-4] e si ritrovano in diverse pagine del Periplo Segreto della Lizard, ma della seconda esposizione, quella più bizzarra, quasi nessuna compare nelle pagine dei libri.

fig.3
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fig.4
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A Tale of Tintagel del 1967, è la famosa esposizione in cui Pratt rielabora i contenuti delle opere metafisiche del De Chirico, quella in cui compare nel volantone pubblicitario il primo Batman del Nostro [fig.5-6]. Pochi ricordano, forse a causa dello scarso successo mediatico, cosa rappresentassero gli altri dipinti, che fine abbiano fatto. Solo su “L’Europeo” del luglio 1967 si legge: «Nei quadri di Hugo Pratt i temi delle comic-strip si integrano con le più spregiudicate ricerche della pittura moderna. I manichini di De Chirico diventano tanto Batman, l’uomo pipistrello dei fumetti, o tanti San Sebastiano trafitto da frecce di indiani Apaches o Comanche»[6].

fig.5
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fig.6
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A parte questo, il silenzio. Un’apparizione si ebbe nel 2011 nella mostra curata a Pordenone da Salvatore Oliva (l’apparizione del dipinto A quiete in Tintagel del ’67 credo sia una cosa più unica che rara) [fig.7], ma poi tutto si perde nella storia delle origini. Non resta che sbirciare antiche foto, come quella nella quale in casa a Malamocco, alle spalle di Hugo e Salvina appare un dipinto della prima mostra [fig.8], o quella nella quale alle spalle dei lettori del manifesto della mostra si scorge la freccia di uno dei dipinti del ’67 [fig.9].

fig.7
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fig.8
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fig.9
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Si potrebbe dubitarne, e la contestazione darebbe luogo certamente ad una interessante e più approfondita indagine, ma sono opere che nella loro marginalità, e nella loro attuale invisibilità, influenzeranno tuttavia in maniera drastica l’operare fumettistico e pittorico di Pratt: dall’incipit di Leopardi a quello di Tango, per non parlare dell’intero corpus di serigrafie, non si può far a meno di notare quella frammentarietà del visivo, quel passaggio da uno zoom estremo all’altro, che giungono spesso a picchi d’astrattismo. Ecco, il tutto proviene in larga parte da un processo iniziato con questi dipinti “perduti”, generato da questo buco nero dell’arte di Pratt, che forse mai avremo modo di vedere.

Giovanni Scarpa

[1]

Si pensi alle ammirevoli e al contempo discutibili opere di Pellejero per il fumetto e di Marco Stainer per la prosa.

[2]

La retrospettiva bolognese del 2017, saggi ultimamente pubblicati come Corto Maltese e la poetica dello straniero, e la ristampa in grande formato de Una Ballata del Mare Salato, sono solo esempi di un crescente interesse nazionale e internazionale per la figura intramontabile di questo personaggio e del suo autore.

[3]

Si fa riferimento al testo L. Scarpa, Hugo Pratt Le lezioni perdute, Castelvecchi.

[4]

I tre volumi dei Peripli (Immaginario, Incantato e Segreto) editi dalla Lizard segnano forse il punto più alto di un’editoria intesa come censimento critico dell’opera di Pratt.

[5]

Basti leggere, a tal proposito, le memorie della figlia Silvina in S.Pratt, Con Hugo, Marsilio.

[6]

In “L’Europeo” n. 29 del 20 luglio 1967.

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