Eccoci di fronte a un racconto del professor Tolkien che può essere facilmente definito come la perfetta storia epica fantasy, ricca di guerre, eroi e forze sovrannaturali. Un guerriero quasi invincibile, solo contro tutti, obbligato a combattere contro un destino malevolo e avverso, e poi nani malvagi, elfi corrotti, draghi e orchi, incesto e tragedia finale con doppio suicidio di fratello e sorella e morte dei genitori sulla loro tomba. La massima storia tragica partorita dal professor Tolkien, sotto l’influsso di un grande precedente tragico della letteratura nordica antica: il Kalevala, poema epico finlandese. In particolare Turin (il protagonista) ricorda Kullervo, eroe tragico delle leggende finlandesi. Ma il Signore degli Anelli e lo Hobbit non hanno un finale tragico, i Figli di Hùrin si. In questo racconto abbiamo le fondamenta solo della parte di guerre, intreccio, mostri e drammi epici? Sicuramente no. C’è un episodio, unico punto di luce in questo racconto strutturato di tenebre, sangue e azione, che in Tolkien tornerà sempre e per lui sarà molto importante. Vediamo dunque cosa accade a Turin, figlio di Hùrin.
Turin nasce nello Hitlum, terra abitata dagli uomini nel nord-ovest del Beleriand, ai confini con le terre settentrionali dominate da Morgoth. Hùrin, suo padre, viene imprigionato in battaglia da Morgoth, che poi inizia a seviziare la popolazione dello Hitlum, stanziando nella zona i suoi alleati Esterlings, uomini dell’est che si impongono sulla popolazione in fuga. Turin è spinto da Morwen sua madre a scappare e viene condotto alla corte di Thingol, re elfico del Doriath. Qui viene addestrato a combattere e vivere come un elfo della corte di Thingol. Stringe una grande amicizia con Beleg Arcoforte, una delle guardie del Re, con cui compie grandi imprese ai confini del regno contro i servi di Morgoth. Ma la preferenza del re suscita l’invidia della corte, Turin risponde agli attacchi personali uccidendo il suo delatore. Thingol, inorridito dalla violenza del giovane, lo caccia dal Doriath. Turin scappa e si fa chiamare l’Offeso, raccoglie una banda di guerrieri e briganti con cui inizia a guerreggiare nel sud del Brethil con gli orchi che ormai si insinuano sempre di più verso il Nargothrond, dove regna Orodreth, successore di Finrod Felagund, uno dei principi dei Noldor. La fama di Turin e dei suoi compagni inizia a diffondersi, dopo essersi stanziati stabilmente in una base sull’Amon Rudh, in una nascosta dimora dei Nanerottoli (popolo di nani rinnegati) tra cui Mim e dai suoi due figli. Mim è obbligato ad ospitarlo, ma medita vendetta. Intanto Beleg trova Turin, chiedendogli di tornare da Thingol. Turin rifiuta, Beleg chiede un nuovo permesso a Thingol per poter restare con il suo amico Turin. Ma la vita di Turin non può essere tranquilla. In seguito ad un assalto degli orchi, la banda è sconfitta, Turin imprigionato e condotto verso Angband. Ma Beleg non si dà per vinto, segue gli orchi, e in una notte oscura si accinge a liberare Turin dalle catene. Ma questi al buio non riconosce l’amico, lo scambia per un orco e lo uccide. Resosi conto del fatto, impazzisce e inizia a correre all’impazzata, attraversando il Beleriand. Viene ritrovato da degli elfi del Nargothrond, che lo rimettono in forze e lo accolgono. Qui Turin inizia una nuova vita e si fa notare per la sua abilità bellica e la sua forza. Convince Orodreth a una progressiva vocazione offensiva del suo regno, sempre rimasto chiuso nella sua inviolabilità. Ma questa apertura e il controllo degli eserciti del Nargothrond sul territorio circostante porta alla rovina del Regno. Infatti Morgoth invia Glaurung, il Grande Verme, il re di tutti i draghi, con un esercito, a conquistare il regno dei Noldor. Gli elfi e Turin sono sconfitti in battaglia, Glaurung si insedia nella rocca del Nargothrond. Intanto Turin e alla ricerca di un posto dove stare per sfuggire al fato, finisce nel Brethil, dove un popolo di uomini vive nascosto e si difende dalle incursioni sempre più frequenti di Morgoth. Si fa chiamare Turambar, vincitore del Destino. Qui diventa importante: salva più volte il Brethil e conduce con efficacia la guerra. Un giorno incontra una fanciulla dispersa nei boschi, la salva e la sposa, chiamandola Niniel. Vive i suoi giorni più sereni sposato con quella che non sa essere sua sorella, Nienor, scappata e impazzita dopo aver incontrato Glaurung.. Ma Glaurung non ha finito il suo compito e si dirige verso il Brethil, Turin vuole fermarlo, escogita un piano e riesce a uccidere con un gesto eroico il grande drago. Ma il sangue uscito dalla ferita di Glaurung lo avvelena tanto da farlo cadere in un sonno profondo. Arriva Nienor a soccorrere il suo sposo, ma Glaurung, con un ultimo spasmo di vita, le rivela la verità su loro due. Nienor, inorridita, si getta nel burrone del fiume che scorre lì appresso, uccidendosi credendo morto Turin. Turin però si risveglia e scopre quello che è accaduto. Allora pianta la sua famosa spada nera Anglachel nel terreno e ci si getta sopra, ponendo fine alla sua vita. La storia si chiude con l’incontro di Morwen e Hùrin (liberato da Morgoth), vecchissimi, sulla tomba dei figli. Qui i genitori muoiono e svaniscono lentamente, passando al mondo dei morti.
Apparentemente sembra che questo racconto sia in perfetto stile fantasy tolkieniano, è una storia di cui tutti guarderebbero la serie TV, ricca di colpi di scena, sangue, incesto e morte. Ma questi elementi si ritrovano nella successiva opera di Tolkien? Sono fondanti questi elementi nello Hobbit e nel Signore degli Anelli? Il Signore degli Anelli non è deciso da una battaglia, o da un massacro, o da un gesto audace di un grande eroe che sfida il destino, ma da Frodo Baggins di Hobbiton, un minuscolo omino che di lavoro faceva il mantenuto. È rimasto qualcosa di Turin in Frodo? Sembra di no. Turin non è un personaggio che si ripresenta. La sua vicenda nasce e muore con lui, Tolkien non può essere d’accordo con quello che ha scritto. La potenza del racconto è indubitabile, ma che senso ha? Che proposta è per il lettore d’oggi un personaggio dalla spropositata carica tragica come Beleg Arcoforte. Egli è, infatti, l’unico personaggio interamente positivo del racconto, l’unico che porta costantemente nella scena un bagliore di luce. Se si prova a leggere il racconto prestando attenzione alle “pennellate” che Tolkien stende a regola d’arte, si nota che i punti di luce sono solo i momenti in cui sulla scena c’è Beren. Leale, giusto, coraggioso, forte e buono, è il prototipo della saggezza elfica nel suo significato più impegnato e altruista verso le disgrazie degli uomini. Cosa succede tra Beleg e Turin? Semplicemente Beleg si affeziona a Turin quasi più che a sé stesso. È un amicizia totale quella che dona a Turin, che dal canto suo riconosce la fiducia in Beleg ma ha più a cuore la sua personale e solitaria lotta contro il destino che l’amicizia con Beleg. Per Beleg è impensabile non vederlo, non parlarci, non viverci insieme, non combattere al suo fianco. Non può fare a meno dello sguardo di Turin, chissà per quale motivo. Questo livello di amicizia, così leale, così pronto e anzi, votato, al sacrificio, è evidente nelle storie della Terra di Mezzo. Il sacrificio di Gandalf, di Theoden, di Faramir, di Frodo e Sam, di Bilbo, di Thorin Scudodiquercia, portano questo messaggio: in questo mondo c’è qualcuno o qualcosa per cui sono pronto a dare la vita. In questo mondo che anche per loro come per Turin è carico di tragedie, pericoli e malvagità, lo spiraglio di luce vince sulla notte più buia. Turin questa luce portatagli da Beleg non la vede. Tanto che lo ucciderà. Al buio. E si dispererà. La sua ferocia e la sua istintività lo hanno portato a uccidere il suo unico amico. L’amico che aveva abbandonato la sua gente e il suo re per stare con lui. Beleg muore sicuramente sorridendo. E questa per Turin è una ferita che non riuscirà a rimarginare neanche tornando a concentrarsi sulla sua personale lotta con il destino. Mi si potrebbe dire che Turin aveva contro Morgoth, il peggior nemico, il Male in persona che lo tormentava. Ma aveva anche dalla sua Beleg, il migliore amico, la Luce che lo accompagnava. Tutti i membri della Compagnia nel Signore degli Anelli erano avversati da Sauron, e attirati dalla sua potenza, ma hanno preferito seguire Gandalf. Ora, un paragone forse ardito, ma affascinante e degno di approfondimento nella letteratura italiana è un certo poeta, uno dei più grandi, che fa del destino crudele il suo peggior nemico, contro cui combatte a forza di poesie e nuove ricadute. Giacomo Leopardi. In fondo non è forse evidente, fin dai primi componimenti di Leopardi, dalle Operette Morali, dagli stessi canti Pisano-Recanatesi, per non parlare della Ginestra, come il poeta si trovi costantemente di fronte a un destino, a una realtà ineluttabile che funesta tutte le sue illusioni e i suoi tentativi? Non professa forse questa rabbia verso il Fato nel grido di “A sé stesso”? Turin avrebbe potuto sottoscrivere la chiusa del Canto Notturno, per lui il dì natale di sicuro fu funesto, tanto quanto fu liberante il giorno del suicidio. Turin non ha il retroterra filosofico di Leopardi che gli impedisce di suicidarsi. Vincenzo Gioberti riconosce nella speranza l’unica mancanza dell’uomo Leopardi, e questo è applicabile anche a Turin. Senza speranza, la vita diventa una guerra che può solo essere persa. Turin non vuole arrendersi, e giunge al suicidio, Leopardi non vuole arrendersi e continua a cercare, a capire, a disperarsi. Il destino che si profilava davanti agli occhi di Frodo negli Emyn Muil e nella tana di Shelob era probabilmente più nefasto e buio di quello che affrontava Turin. Ma Frodo aveva una speranza, non era mai solo. Non voleva essere solo. Turin cerca la solitudine, e trovandola incontra la morte.
Giovanni Gomiero
A distanza di anni la storia di Turin Turambar è una delle storie dell’universo tolkeniano che mi sono rimaste più impresse, proprio per via della drammaticità che permea ogni suo aspetto. Venendo dalla lettura del Signore degli Anelli e dell’Hobbit, trovare un figura così sventurata (e, forse, affascinante proprio per questo) mi colpì all’epoca (e mi colpisce tutt’ora).
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