Matera, o un’inchiesta sulla bellezza

«Quand’ero piccolo, e facevo ancora il pastore alle pecore, mi spedivano a dormire nella grotta dei cento santi. Non sono mai riuscito ad addormentarmi lì dentro. Che paura mi facevano tutte quelle facce brutte fotografate lì, che mi guardavano…». Incomincia così, attraverso una surreale epifania ad un pastore, dal sapore evangelico, l’avventura di ricognizione che culminerà, il 1° maggio 1963, nel ritrovamento della cosiddetta cripta del Peccato Originale, in una contrada rupestre di Matera. Il nome lo deve a un affresco che campeggia quasi in disparte, non il centro di questa teoria di santi e fiori. La sua particolarità? Essere, in ambiente occidentale, tra le più antiche rappresentazioni della consegna a Adamo del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, «pomus» nella versione girolamea, ma che qui, tra le prime volte appunto, diventa più realisticamente un fico.

 

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Veduta della cripta restaurata e aperta al pubblico

 

Secondo la teologia cristiana, il peccato originale è il principio di disordine intrinseco, ferita che sbiadisce, quale perpetua eredità congenita dell’uomo, l’immagine di Dio. Esso restituisce dell’uomo il senso del suo proprio essere creatura, pertanto più piccolo di Dio, ma anche da costui desiderato, nel senso di un ritorno alla piena somiglianza. Un possesso libero del bene si realizza, pertanto, in termini cristiani, nell’assecondare una mano che trattiene dall’inciampo, dallo skàndalon, concretizzatasi nel mistero dell’Incarnazione, il parto del Cristo, nuovo Adamo.

Creazione di Eva
La mano destra di Dio benedicente appare durante la creazione di Eva

 

Non faremo certo un cammino teologico, un Itinerarium mentis in Deum per le strade di Matera; bensì prenderemo a prestito, dal linguaggio ecclesiale, la categoria del peccato originale quale punto focale della vita di questa città. Come si sa, tra i due momenti della cacciata dal paradiso e il Natale (quest’ultimo già tinto del colore del successivo sacrificio nel dono della mirra da parte dei Magi), si dipana il mistero di salvezza. La migliore resa di questo concetto si ha nel latino vindicare, che giuridicamente significa riscattare un debito per riottenere un possesso. La storia profonda di Matera può essere interpretata alla luce del suo peccato originale e della progressiva vendetta di se stessa.

Teschi chiesa del purgatorio

chiesa purgatori
Teschi e altre raffigurazioni della morte sono il tema della decorazione esterna della chiesa del Purgatorio a Matera, prodotto del barocco settecentesco. Ma il teschio di Adamo è rappresentato in molti crocifissi medievali come segno del vecchio, del peccato lavato dal sangue del Cristo, come vediamo ad esempio nel crocifisso di Giotto conservato ai Musei Civici agli Eremitani di Padova:

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I Sassi, i due quartieri che comprendono l’abitato storico della città, sono il risultato di un non-progetto, nati senza stile, dalla riproduzione modulata secondo il bisogno di unità abitative ottenute mediante scavo del tufo, la pietra che costituisce il paesaggio culturale di Matera. Chi oggi visita Matera, non guarda una città ideale del tipo rinascimentale; vede anzi l’anti-ideale per eccellenza, un’architettura negativa, forgiata dal togliere piuttosto che dall’erigere, uno scavo che è un dominio umile della natura (laddove la natura può essere alternativamente soggetto o oggetto del dominio).
Vede i luoghi di un popolamento angusto, in cui, come sappiamo, i piccoli spazi passano da culle accoglienti a tane claustrofobiche man mano che si cresce; vede i luoghi della simbiosi con le bestie; vede i luoghi delle tempie doloranti di massaie oberate da lattanti sempre affamati, della solidarietà obbligata del vicinato, venata dall’ipocrisia da vipere con la lingua biforcuta; vede i luoghi in cui il chiasso di presenze invadenti finiva per rompere l’intimità finanche nel letto coniugale. Qui non sembra esserci stato spazio per la delicatezza; eppure l’estetica della cultura è travolta da un’onda di bellezza. Può la bellezza venir sciolta dal dramma? Il dramma quotidiano di migliaia di contadini, duri e spessi come la crosta del pane che si faceva in casa loro, morbidi all’interno, cedevoli magari alle arti comprate di qualche fattucchiera; così come il dramma dell’umidità degli spazi chiusi, sentita fin dentro le ossa, o dell’acqua, sempre poca, cacciata dagli intrichi di grondaie che scendono come tentacoli sui tetti. Insomma, la si può separare questa bellezza dalla faccia tragica della vita, dallo splendore catartico di una tragedia che qui trova il suo teatro naturale?
Si può contemplare (il lemma contiene il “tempio”, a sua volta dal greco temno, tagliare, circoscrivere), cioè racchiudere un pezzo di cielo sacro entro cui gli auguri leggevano il volo degli uccelli, come è tradizione di questa parola; ma sotto questo cielo, il dramma. Si può contemplare Matera, certamente bellissima, con l’intensità e la dolcezza con cui si guarda un crocifisso ben scolpito, ben dipinto: cosa grave, bella e paradossale essere capaci di trascorrere la bellezza su di un volto tumefatto. Matera è ferita dal suo peccato, una colpa atavica di cui i suoi abitanti sono stati portatori innocenti, ma è dentro una salvezza. Con un altro saccheggio di parole già dette si descriverebbe così questa salvezza: «Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno di questi piccoli» (cfr. Matteo 18, 12-14).
Così, nei nostri sguardi itineranti per Matera, oggi finalmente riscattata, alla bellezza che viene dal colpo d’occhio (species), faccia da complemento una bellezza riflessa, soppesata (honestas). Saremo raggiunti da raggi di buio, di dolore, miseria, fatica e speranza, che diventano bui illuminati, dalla semplicità, dalla contentezza, dallo sciamare dei bambini, dal ritorno a casa dei mariti, sporchi di terra e con il salario per il pane. Ecco che Matera diventa un’opera d’arte contadina, un’icona struggente della conseguenza in fondo più bella del peccato originale: «mangerai il pane con il sudore della tua fronte» (Gen 3, 19). Che non vadano perduti questi piccoli che ce l’hanno consegnata.

Damiano Eletto

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