L’Occhio di Bruce Chatwin

Se Banksy avesse distrutto la sua carissima opera (quella da 860.000 sterline) una sessantina di anni fa, nella bella sala audizioni di Sotheby’s qualcuno avrebbe riso, e quel qualcuno sarebbe stato Bruce Chatwin. Sì, perché il vagabondo-narratore più famoso del ‘900, lo scrittore dei best sellers In Patagonia e Le Vie dei Canti, prima di intraprendere i suoi strani viaggi intorno al globo, prima di narrare le sue bizzarre avventure da antropologo dandy, da Corto Maltese in camicia, lavora a Londra per la casa d’aste. E si potrebbe quasi dire di più: che se non avesse lavorato alla Sotheby’s non avrebbe mai lasciato la cara vecchia Inghilterra, il tè caldo, la teiera di porcellana e i suoi buoni biscotti. 

 

by Sally Soames,photograph,1987

 

Chatwin è un bambino durante la guerra, nasce il 13 maggio del ’40, e un ragazzo durante la guerra fredda. Gli piace raccontare storie, vivere avventure, e dopo le elementari frequenta il Marlborough College. Così, mentre i suoi colleghi giocano a Rugby, lui esplora in bici la campagna del Wiltshire, colleziona oggetti antichi, visita chiese. È un ragazzo furbo, e comincia a fare i primi investimenti acquistando oggetti da un antiquario per rivenderli ad un altro della zona, fin quando tutti si presentano in massa dal preside per protestare. Arreda la sua camera in modo favoloso, appendendo alle pareti piccoli capolavori d’arte italiana, disponendo antica mobilia inglese. Ha gusto, e il suo compagno di stanza, Michael Cannon, ricorda la loro come una delle più belle stanze di tutto il collegio. Una notte, lo segue pedalando al chiaro di luna, nel Wiltshire, per andare a godersi illegalmente l’alba del solstizio a Stonehenge tra i vecchi monoliti neri, poi grigi, poi bianchi di luce. Le biciclette sull’erba, il silenzio dei prati. 

Bruce è un ragazzo brillante, biondo, solitario ma convenevole: ci si aspetta da lui una splendida carriera universitaria. E invece, non vuole seguire la strada sei suoi “noiosi” compagni di scuola. Comincia a lavorare per Sotheby come inserviente, consapevole che il suo futuro è nello sguardo. Comincia in grigio: uniforme della casa d’aste, noia, un salario di sei sterline a settimana. Il primo incarico è al reparto ceramiche, numerare i pezzi per le vendite, poi mobili, stessa storia. Eppure tra i reparti, Chatwin comincia a divertirsi, a scombussolare gli ordini. Dopo neanche un anno è al reparto Impressionisti e Antichità, una vera bomba: ama leggere le iscrizioni greche sulle anfore antiche attirando l’attenzione di tutti, riconosce al volo i falsi, gli originali nascosti, i pregi, i difetti. Ha l’Occhio, dicono i dirigenti. Nel suo ufficio-salotto si respira un’aria assurda: tra le pareti monocromatiche giallo-ocra che ricordano il deserto, troneggia il sedere di marmo di un Kuros greco, un paravento giapponese del Seicento un poco più a lato. A venticinque anni Bruce è il più giovane astro nascente dell’azienda, il più giovane direttore di un intero settore. Quando il Ciambellano del Re d’Albania in visita gli chiede di mostragli qualcosa di bello, tra tutte le opere lui gli mostra «un frammento di lèkytos attico a fondo bianco del pittore di Achille, con la raffinatissima figura in oro e seppia di un ragazzo nudo». “Vedo che lei ha l’Occhio” risponde il ciambellano, “diventeremo amici”.  Sono otto anni di lavoro magici e bizzarri, che l’autore ricorderà con non troppo entusiasmo nella sua maturità di nomade. Pure evocherà sempre, con emozione, la scoperta di un Gauguin in un castello scozzese diroccato, le lunghe chiacchierate con Breton, Picasso, Hodgkin, le passeggiate segrete con Elizabeth dietro le quinte del reparto, l’amore tra le cornici in foglia d’oro. 

Dopo otto anni lì dentro, scopre di essere diventato uno spocchioso, un borghese. È l’immagine di quello che non avrebbe mai voluto diventare. «Alla fine avrei potuto tranquillamente lavorare per una raffinata agenzia di pompe funebri», dirà. Per non parlare dei problemi con la vista, nel ’65. L’oculista che lo visita gli spiega che molto probabilmente ha guardato troppo da vicino le opere d’arte, gli consiglia di riposare, di ampliare gli orizzonti, di spaziare, di ammirare vastità. Si racconta che sulla ricetta medica, al posto di un paio di occhiali nuovi, ci fosse scritto “viaggio in Africa”. 

 

bruce chatwinnnnn

 

L’Occhio di Bruce ha bisogno di allargarsi, di respirare, così finisce un’avventura e ne inizia un’altra; nasce il Chatwin che tutti conoscono, quello che agli occhi unisce il cuore, che allo sguardo accompagna il cammino. È una scelta drastica, un cambio di rotta verso nuove forme d’arte, verso la scoperta dell’Uomo, della Terra. Sempre curioso, come il ragazzino che in bicicletta girovagava tra gli antiquari del paese. Mai filosofo, mai antropologo, mai umanista. Solo un paio occhi, un cuore, in viaggio. A caccia di belle storie. 

Un grazie particolare a Nicholas Murray e al suo saggio L’alternativa nomade che ripercorre zone spesso dimenticate della vita di Chatwin. 

Giovanni Scarpa 

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