Djinn: sogni di sabbia

“Mentre egli cosí supplicava Iddio, e si torceva le mani dall’affanno per la sua sciagura, capitò che la sua mano strofinasse l’anello, e d’un subito gli si drizzò innanzi la figura di uno schiavo, che gli disse: – Eccomi, il tuo servo è in tuo cospetto. Chiedi ciò che vuoi, giacché io sono il servo di colui che porta al dito l’anello del mio signore –. Aladino guardò, e vide dinanzi a sé un genio che sembrava uno dei genî di Salomone.”

Le mille e una notte

 

L’attento lettore si sarà accorto che il pezzo sopra citato, tratto dalla famosa antologia di racconti “Le mille e una notte”, è parte del racconto che ha ispirato il film di animazione Disney “Aladdin”. Certo, ci sono alcune differenze: Aladdin non strofina una lampada bensì un anello, e ci sono forti elementi religiosi (supplicava Dio, geni di Salomone) ma la sostanza è quella. Nel film ci sono diversi elementi magici ma quello più sorprendete è naturalmente il Genio della lampada. Questa entità spirituale che si offre di esaudire tre desideri di Aladdin è la figura attorno a cui ruota tutto il racconto, la soluzione e la complicazione di tutti i problemi di Aladdin. Uno spirito che non ha nulla a che vedere con i demoni, gli angeli o Dio, una figura intrisa di magia in un contesto profondamente religioso come quello della Baghdad Abasside. La domanda dunque sorge spontanea, qual è la natura di questo Genio (in arabo Djinn)? Quasi dimenticavo, c’è un’altra piccola differenza tra il film e il racconto originale: Aladdin proviene dal Catai cioè è cinese, ma non è in Cina che comincia la nostra storia.   

A poco più di cento chilometri in linea d’aria da Gerusalemme nel bel mezzo del Dana Biosphere Reserve, una riserva naturale della Giordania, nella tenda principale di un campo di beduini sono radunati, attorno alla poca luce sprigionata da due candele, un gruppo di ragazzi. Sei di loro sono italiani, il settimo è un locale. Si discute di religione, usi e costumi. Poi ad un certo punto il locale (che per semplicità chiameremo S), racconta la storia di come, quando era piccolo, incontrò un Djinn che aveva le sembianze di un suo parente defunto. La storia, raccontata attraverso le tremolanti luci delle candele, sembrava un tipico racconto di fantasmi utilizzato per intrattenere gli ospiti durante le serate. Tuttavia ciò che avvenne dopo fu dal punto di vista antropologico molto interessante. S spiegò che quando durante la notte sentiamo freddo in particolari parti del corpo senza una ragione precisa, per esempio sulla parte bassa di una gamba, allora un Djinn è molto vicino a noi. Poi prendendo in disparte una ragazza iniziò quella che in gergo tecnico si definirebbe una ingenua forma di adorcismo: S tenendo la mano della ragazza pronunciò alcune parole invitando la ragazza a ripeterle (purtroppo la stanchezza accumulata in quei giorni non mi ha permesso di svolgere adeguatamente il compito proprio dell’antropologo, cioè di registrare minuziosamente ogni singola parola pronunciata da S). In ogni caso il “rito” non durò più di cinque minuti. Poche parole e una leggera pressione sulla mano avrebbero permesso, secondo S, la visita di un Djinn presso la ragazza durante la notte. S vedendo la preoccupazione nel volto della ragazza si affrettò a spiegare che sarebbe bastato unire le mani incrociando le dita per scacciare lo spirito indesiderato, ma al contempo si fece premura di avvisarci di non unire solamente le mani senza incrociare le dita altrimenti avremmo ottenuto il risultato diametralmente opposto. S è un musulmano credente e praticante eppure non ha nessuna difficoltà ad affermare l’esistenza dei Djinn.

 

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Sembra paradossale che in una religione fondata su un monoteismo estremo sia concessa l’esistenza di esseri spirituali per nulla dissimili dagli spiriti delle religione animiste. Eppure S non è un eretico, come non lo sono i quasi due miliardi di musulmani che credono nell’esistenza dei Djinn, perché sebbene appaia come una credenza arcaica e folkloristica, l’esistenza di questi spiriti è attesta addirittura nel Corano. Anzi, dirò di più, esiste un’intera sura dedicata a loro: la sura Al-Djinn per l’appunto. Nelle traduzioni italiane del Corano la sura LXXII viene tradotta impropriamente con “I demoni”, sebbene i Djinn siano molto diversi dai diavoli e non vengano associati in prima istanza a Satana (Shaitan in arabo). Ma vediamo cosa dice la sura:

Di’: Mi è stato rivelato che un gruppo di djinn ascoltarono e dissero: “Invero abbiamo ascoltato una Lettura meravigliosa” (2) […] Pensavamo che né gli uomini né i djinn potessero proferire menzogne contro Allah. (4) Invero c’erano degli uomini che si rifugiavano presso i djinn […]

Gli esegeti propongono diverse versioni a proposito della rivelazione di questa sura. La più accreditata riferisce che Maometto recitò durante una notte qualche parte del Corano. La sua recitazione fu udita da un gruppo di djinn che toccati dall’intrinseca potenza di quelle parole, lo riconobbero come profeta e si convertirono all’IsIàm. Creature invisibili, i dijnn vennero creati a partire dal fuoco e più esattamente dalla parte più pura di esso, la linguetta di energia che non emette fumo e che si trova sull’estremità della fiamma. Nel Corano sono nominati ben trentuno volte. I djinn hanno volontà propria e libero arbitrio e vivono in un mondo contiguo ma separato da quello degli uomini, al quale hanno accesso attraverso meccanismi e varchi preclusi ai figli di Adamo.

 

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Vediamo dunque di approfondire la natura di questi spiriti. Come detto poc’anzi i Djinn non sono demoni, ma spiriti e non per forza malvagi, tant’è che alcuni di loro secondo la teologia musulmana fanno parte dell’umma cioè della comunità di credenti a cui sarà concesso il paradiso alla fine dei tempi. Naturalmente quelli che la tradizione ricorda di più sono gli spiriti malevoli piuttosto che quelli benevoli, ecco che quindi troviamo diversi nomi e tipi di Djinn malvagi nella cultura medio-orientale:

  • Hinn: sono spiriti minori talvolta associati ad animali in particolare cani di pelo scuro
  • Ghul: sono probabilmente i più malvagi e in effetti vengono ripresi e rielaborati in diversi contesti anche nella cultura pop contemporanea (e.g. Tokio Ghul, il famoso anime, o ancora Ras’al Ghul, uno dei nemici più pericolosi di Batman, il nome significa letteralmente “Testa di demone”). 
  • Si’lat: uno spirito demoniaco femminile 
  • Ruh: uno spirito che attacca i bambini
  • Shikk: uno spirito che attacca i viaggiatori
  • ‘amir: uno spirito che infesta le case

Quando uno di questi spiriti attacca o addirittura possiede una persona esistono veri e propri riti apotropaici o di esorcismo, un esempio ci viene fornito da Micheline e Pierre Centivres riportata nella loro ricerca “A muslim shaman of Afghan Turkestan” del 1971. L’esorcismo o Baxsbazi (dal nome di colui che opera il rito cioè il baxsi) si declina in cinque fasi più una preparatoria:

  • Fase 0 o preparatoria: mentre il paziente si veste di bianco vengono spente tutte le luci tranne quella di una candela e quindi viene recitato un pezzo del Corano
  • Fase 1: il baxsi comincia a cantare e a suonare con un particolare strumento a corda chiamato qobuz. Il canto è spesso interrotto da suoni gutturali e nasali, lo scopo è quello di invocare un’arwa cioè un altro spirito che aiuti a scacciare lo spirito malvagio
  • Fase 2: la melodia diventa sempre meno armonica e nuovi suoni vengono introdotti, il baxsi inizia una fase di trans
  • Fase 3: il baxsi appoggia il qobuz su varie parti del paziente, a volte per la frenesia della trans i colpi ricevuti dal paziente sono tutt’altro che delicati
  • Fase 4: il baxsi ripete le melodie dalla fase 1 e 2
  • Fase 5: alcune ferite compaiono sul corpo del baxsi a causa dei convulsi movimenti con lo strumento musicale. Viene ripetuta la fase 3 e infine si ripete l’invocazione iniziale, quindi il baxsi dice al paziente con voce normale: “Alzati”

Durante la seduta vengono ripetute molte parole del lessico originario musulmano come Muhamad Rasul, Mullah, Allah, Bismillah, e anche frasi in farsi come “Mullah Komak Kard” (“Il mullah ti aiuti”). Nel caso descritto dai coniugi Centivres il paziente era posseduto da uno spirito maligno, ma come detto poc’anzi non è inusuale imbattersi in Djinn benevoli o magari solamente indifferenti nei confronti degli uomini. Per questo talvolta viene praticato l’adorcismo, cioè l’invocazione di certi spirti che prendono possesso della persona invocatrice. Quest’ultima, se è in grado di resistere al primo assalto del Djinn, potrà effettivamente utilizzare i suoi poteri. 

 

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A Petra alcuni blocchi di pietra posti lungo il tragitto che portano alla città sono chiamati Casa dei Djinn

 

 

Queste pratiche e questi riti sono chiare interpolazioni di religioni più antiche di origine animista o spiritualista nella religione islamica. Non dobbiamo però sorprenderci di questo sincretismo semi-inconscio dell’islam, perché in realtà è un fenomeno presente in ogni grande religione che ha la pretesa di essere universale. La vera questione è come elementi così arcaici e folkloristici sopravvivano in altre religioni, cioè, in altri termini, come l’irrazionalità di alcune credenze archetipe si mescolino alla razionalità dei sistemi dottrinali complessi delle grandi religioni. Irrazionalità e razionalità, in realtà sebbene termini contrari, non si elidono nella religione, ma convivono e la rendono ammissibile: se fosse completamente razionale non sarebbe altro che un sistema scientifico o sociologico e non attrarrebbe la fede di una moltitudine di credenti, mentre se fosse unicamente irrazionale non sarebbe accettabile per il fatto che non sarebbe umana cioè ragionevole, non ci sarebbe infatti nulla di sicuro a cui affidarsi e su cui poggiare la propria fede. 

Questo è ciò che Niccolò Cusano chiamava Coincidentia Oppositorum cioè unione di opposti. Cusano quando ne parlava si riferiva a Dio, nel quale convivono luce e tenebra, sostanza e non sostanza, uomo e donna, vero e falso, ragione e irrazionalità. Il principio di non contraddizione e quello di identità come pure quello del terzo escluso sono assiomi logici validi solo per il mondo sensibile, ma inefficaci per descrivere il mondo divino. Il rapporto tra sacro e profano non è dualistico, non è mutuamente esclusivo, ma paradossale. La ierofania (manifestazione del sacro) rivela questa paradossale unione e rende manifesta la coesistenza di essenze contradittorie. La ragione umana non può comprendere questo concettualmente, lo stesso nostro linguaggio fallisce nel tentativo di spiegarlo. La duratura presenza di una realtà assoluta in qualcosa di finito, limitato e cagionevole può essere solamente espressa in termini di una relazione paradossale. Il concetto può non essere facile da comprendere ma è fondamentale perché ogni religione si basa su un rapporto, quello tra sacro e profano, logicamente contradittorio ma complementare e verificabile simultaneamente nella ierofania. Questa è l’essenza del paradosso, questa è la Coincidentia Oppositorum.

Fabio Darici

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