“Allora due angeli Shemhasa’y e ‘Aza’zel vennero a Lui e gli dissero: «Signore del mondo, si è avverato quel che avevamo profetizzato alla creazione del mondo e dell’uomo dicendo: – Chi è l’uomo da ritcordarTi di lui? -». «E ora che ne sarà del mondo senza l’uomo?», disse Dio. «A questo penseremo noi» risposero gli angeli.”
Midrash
San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti parla di come deve vestirsi la donna durante le assemblee, in particolare afferma che deve portare un velo (1 Cor 11,5) per “portare riguardo” a Dio e poi prosegue rievocando la Genesi: “L’uomo non deve coprirsi il capo perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo” (1 Cor 11,7-9). La frase va ovviamente interpretata secondo le circostanze storiche nelle quali viveva San Paolo. Stupirci di ciò sarebbe miope, nel mondo antico la donna ha sempre avuto un ruolo marginale rispetto all’uomo e una rivoluzione improvvisa sarebbe impensabile. Tuttavia il cristianesimo ha riabilitato enormemente l’immagine della donna. In molti episodi evangelici infatti la donna è la protagonista e protagonista nel bene. D’altra parte anche l’Islam ha portato ad un miglioramento delle condizioni della donna. Oggi noi vediamo solamente quello che sembra essere una sottomissione totale della donna musulmana a suo marito (che sicuramente in molteplici casi avviene), ma le condizioni della donna nella società pre-islamica della Penisola Araba erano decisamente inferiori, la donna era considerata alla stregua del bestiame se non peggio. Lungi da me il voler entrare nel ginepraio che queste affermazioni possono far sorgere, d’altronde i nostri articoli non hanno mai trattato temi politicizzati o controversi. Pertanto concentreremo la nostra attenzione altrove.
L’apostolo dei Gentili sempre nella Prima Lettera ai Corinti prosegue al versetto 10 con questa frase: “Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli”. Nulla di strano, no? L’apostolo conclude dicendo che la donna deve coprirsi perché dipende dall’uomo, ma aggiunge una piccola chiosa che forse ai più passa inosservata: “a motivo degli angeli”. Sembra dire che la donna debba coprirsi a causa degli angeli; ora le interpretazioni sono qui le più svariate. Secondo alcune tradizioni la presenza invisibile del angeli dovrebbe incitare al buon ordine e alla decenza: “Perché il Signore tuo Dio passa in mezzo al tuo accampamento per salvarti e mettere i nemici in tuo potere; l’accampamento deve essere dunque santo, perché Egli non veda in mezzo a te qualche indecenza e ti abbandoni” (Dt 23,15). Altri esegeti suggeriscono che il termine angeli vada interpretato come messaggeri di altre comunità che resterebbero quindi scandalizzati da un’acconciatura poco femminile. Eppure una terza via di interpretazione ci sembra molto più interessante, alcuni biblisti ritengono infatti che San Paolo stia mettendo in guardia le donne cristiane dal sedurre con certi loro atteggiamenti ambigui gli stessi angeli.
Fermiamoci un secondo e cerchiamo di capire quale sia la condizione di questi angeli che potrebbero cadere in tentazione. Nella bibbia non si parla della creazione degli angeli, quindi possiamo prendere in esame due possibilità: la prima è che gli angeli siano stati creati prima della creazione del mondo quindi prima degli eventi descritti dalla Genesi, oppure possiamo supporre, seconda possibilità, che siano stati creati nello stesso momento del mondo, ma che la storia della loro creazione rimanga celata. Ci sono alcuni elementi nel primo capitolo della Genesi che farebbero propendere per la seconda opzione. Prendiamo in esame i primi tre versetti del primo capitolo della Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.” Queste prime frasi della Genesi sono conosciutissime ma purtroppo solo superficialmente, nascondono infatti molteplici significati più profondi. Dio crea in due modi diversi: crea il cielo e la terra in silenzio e poi crea la luce mediante la parola. Che senso aveva per Dio creare qualcosa proferendo parole quando poteva benissimo continuare a farlo senza? Quando qualcuno parla si suppone che qualcun altro sia in ascolto, pertanto, secondo alcuni studiosi, Dio creando la luce stava parlando agli angeli mentre rimane in silenzio quando crea il cielo e la terra, facendo pensare di non avere ancora un uditorio che lo ascoltasse. La creazione degli angeli dovrebbe essere dunque avvenuta tra questi due momenti. Un’altra stranezza è la stessa creazione della luce. Infatti questa luce non può essere semplicemente la luce sensibile che noi vediamo perché tale luce deriva dagli astri, dal sole e dalla luna che però verranno creati solo il quarto giorno: “Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte […] Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle» (Gen 1,14-15) Cos’è dunque la luce del primo giorno? Si tratta di una luce spirituale non visibile ma altrettanto luminosa, è la luce della conoscenza che viene affidata agli angeli. Sant’Isacco di Ninive la chiama caligine luminosissima, altri, come Dionigi l’Areopagita, tenebra luminosissima e altri ancora, come S. Giovanni della Croce, Mirabilis Noctis. La luce della conoscenza divina è per l’uomo incomprensibile e inarrivabile, e quindi viene intesa dai teologi come una tenebra nella quale l’uomo non sa orientarsi, è un tipo di conoscenza superiore non concessa all’uomo mortale, ma solo agli spiriti immortali cioè gli angeli.

La Genesi ci offre qualche capitolo dopo uno dei passaggi più enigmatici di tutta la Bibbia:
“Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. […] C’erano sulla terra i giganti a quel tempo -e anche dopo- quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.” (Gen 6,1-4)
I figli di Dio non sono altro che gli angeli, essi, innamoratisi delle figlie degli uomini, le presero per moglie e diedero origine ad una nuova specie, i giganti (nephilim in ebraico). L’esistenza di questi giganti è confermata altre volte nella Bibbia, li troviamo infatti in Dt 1,28 (“Quella gente è più grande e più alta di noi”) o in Dt 3,11 (“Ecco il suo letto, un letto di ferro […] è lungo nove cubiti secondo il cubito di un uomo”-circa 4 metri-) e pure in Nm 13,32-33 (“[…] Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo notata è gente di alta statura; vi abbiamo visto i giganti figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte i quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro”).
Ma torniamo ai nostri angeli, nel passo biblico in cui essi si invaghiscono delle figlie degli uomini non vengono esplicitamente stigmatizzati, le loro azioni non sono dichiarate peccaminose. Tuttavia l’esegesi rabbinica propone diversi testi che spiegano questo passo evidenziando l’atteggiamento deviante degli angeli. Nel Libro di Enoch si parla di angeli caduti che innamoratisi delle figlie degli uomini generarono giganti altri tremila cubiti che consumarono tutte le scorte alimentari degli uomini, costringendo quest’ultimi a uccidere gli animali per nutrirsi. Dio allora per purificare questa violenza mandò il diluvio universale. D’altra parte invece, in un testo apocrifo veterotestamentario, intitolato i Testamenti dei dodici patriarchi, la colpa maggiore viene fatta ricadere sulla donna che con l’inganno della sua bellezza avrebbe corrotto addirittura gli angeli.
A questo punto sarebbe necessario estendere la ricerca a tutta l’angeologia e demonologia giudaica, ma ciò travalicherebbe enormemente i limiti automposti per questo articolo perciò, avviandoci verso la conclusione, noteremo soltanto che il tema degli angeli caduti che si innamorano delle donne è presente in altre culture e religioni: quella iranica-zooroastriana, quella manichea e anche quella islamica. Proprio in quest’ultima scopriamo che questa vicenda è collegata ad un mito cosmologico. Nel testo del Tafsir di Lahore si racconta che due angeli, Harut e Marut, vennero mandati sulla terra da Dio con un ordine specifico: “Di giorno andate per la terra, giudicate tra i figli di Adamo, e badate bene di osservare la giustizia, senza inclinare al torto o all’ingiustizia; a notte, poi, tornatevene in cielo”. I due angeli tuttavia si innamorarono di una donna, che in cambio di giacere con loro gli chiese il Nome Supremo per accedere al cielo. Non appena ottenuto il nome, la donna lo pronunciò salendo al cielo e abbandonando i due angeli. Dio punì i due angeli lasciandoli appesi a testa in giù in un pozzo di Babilonia fino alla fine dei tempi e punì altresì la donna trasformandola nel pianeta Venere. In questo racconto in realtà si cela un significato più profondo che riguarda una particolarità del Dio islamico. Dio infatti è la stessa tentazione, la fitna, nel senso che mette alla prova i suoi angeli mandandoli nel mondo (non si tratta solo di un mutamento spaziale, ma soprattutto di natura o di stato, gli angeli infatti erano stati creati senza il germe della concupiscenza, ma una volta giunti nel mondo sono anch’essi soggetti alle sue seduzioni). Il Dio islamico è quindi perfettamente onnipotente, può cioè indurre in tentazione, e pone una seria riflessione sull’origine del male, questione, quest’ultima, da sempre dibattuta nel mondo islamico. D’altra parte anche il cristianesimo nonostante duemila anni di teologia, nel corso dei quali si è approdati a complessi sitemi che hanno visto trionfare il libero arbitro come principio risolutore delle questioni riguardanti la teodicea e l’origine del male, nonostante ciò dicevamo, la nota preghiera del Padre Nostro mantiene tutt’ora la formula non ci indurre in tentazione, sottintendendo che quindi Dio potrebbe indurre in tentazione. Forse una traduzione infelice come ci ricorda papa Francesco che preferirebbe l’uso di un non ci abbandonare alla tentazione, ma che rimane lì e viene ripetuta da milioni di fedeli ogni giorno.
Fabio Darici
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