Nell’ultimo articolo redatto dal sottoscritto (“A motivo degli angeli”) ponevamo l’attenzione sulla perfetta onnipotenza del Dio coranico in contrasto con la figura del Dio cristiano. In effetti Allah è per molti aspetti simile al Dio veterotestamentario, una sorta di Dio-Re che si prende cura di qualsiasi cosa, tant’è che la proverbiale frase “non si muove foglia che Dio non voglia” è citata pari pari nel Corano (VI, 59). Molto distante quindi dalla figura di Dio-Padre presente nei Vangeli e nelle parabole neotestamentarie. Se quindi il Dio cristiano è innanzitutto un Dio buono, il Dio islamico è soprattutto onnipotente. La teologia cristiana e quella musulmana hanno quindi dovuto affrontare problemi completamente diversi, ma non meno ostici e insidiosi. Il Dio coranico controlla, anzi crea ogni cosa -spiritualmente e materialmente- istante per istante, intervenendo addirittura nella produzione degli atti umani individuali secondo la modalità espressa dalla filosofia occasionalista e mettendo in seria crisi la questione del libero arbitrio (addentrarsi qui in questioni filosofiche sarebbe inappropriato, quindi lasciamo al curioso lettore il compito di approfondire).
Orbene, dopo questa doverosa e breve introduzione, passiamo all’argomento principe dell’articolo cioè la figura di Iblis, ovvero il Satana del Terzo Testamento (come lo chiamerebbe un mio professore dell’Università), e in particolare l’episodio della sua caduta.
Iblis, in origine un angelo buono, al momento della creazione di Adamo, viene invitato insieme a tutti gli altri angeli di prostrarsi di fronte alla nuova creatura divina: “Noi [Allah] dicemmo gli angeli: prostrativi avanti a Adamo! E tutti si prostrarono salvo Iblis, che rifiutò superbo e fu dei negatori” (Corano, II, 34). Iblis, maledetto da Dio, cerca di ottenere una sorta di proroga: “<<Lasciami attendere la tua punizione sino al giorno in cui gli uomini saranno resuscitati>>. Rispose il Signore <<Ebbene ti sia concesso di attendere sino quel giorno>>. E disse ancora Iblis <<Poiché tu mi hai fatto errare, io mi apposterò sulla tua via diritta e apparirò loro davanti, di dietro, a destra e a sinistra! E non certo molti di loro troverai che Ti saranno grati>>.” Si tratta dunque di una dilazione della pena che permetterà a Iblis di iniziare la sua notevole carriera di tentatore nel mondo. Parrebbe come se il diavolo alla fine non avesse subito una sconfitta così eclatante, tuttavia Dio nella sua onniscienza non poteva certo non sapere che Iblis chiedesse subdolamente la proroga. La conclusione secondo i teologi non può che essere più ovvia: Dio nei suoi più insondabili piani aveva già previsto e assegnato a Iblis il ruolo di supremo tentatore. In altre parole il diavolo non può non essere visto se non come un servo un po’ speciale di Dio, ossia colui il quale ha avuto l’incarico di “tentatore istituzionale”. Questo Iblis ricorda per certi versi il Satana del capitolo uno del libro di Giobbe: “Il Signore chiese a Satana <<Da dove vieni?>>. Satana rispose il Signore <<Da un giro sulla terra, che ho percorsa>>. Il Signore disse a Satana <<Hai hai posta attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno come lui sulla terra: uomo integro eretto, temete io e te alieno dal male>>. Satana rispose il Signore disse <<Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un po’ con la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!>>. Il Signore disse a Satana <<Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui>>.” (Giobbe 1, 6-12). In entrambi i casi sembra come se Satana ricoprisse il ruolo di funzionario di Dio e che il suo compito fosse quello di mettere alla prova l’uomo con le più svariate tentazioni.
La prima prova dunque di Iblis è quella di obbedire ad un ordine diretto di Dio cioè quello di prostrarsi di fronte all’uomo. Iblis però invidioso della posizione privilegiata che ha assunto agli occhi di Dio la nuova creatura, si insuperbisce: lui, creato dal fuoco, non può accettare di inchinarsi di fronte a una creatura di fango! Allah lo punisce probabilmente di più per questa sua superbia smodata che per la ribellione in sé (sia chiaro che qui io uso il termine Dio e il termine Allah come nomi completamente intercambiabili, in effetti Allah non è altro che la traduzione araba di Dio; gli stessi arabi cristiani usano il termine Allah durante le messe quando devono dire Dio).
C’è però una seconda prova ben più temibile che nel testo coranico rimane implicita se non proprio nascosta. La figura di Iblis viene portata pienamente alla luce dalle acute riflessioni di Mansur al-Hallaj, forse il più grande mistico sufi dell’Islam. Esiste una tradizione che potremmo chiamare “sataneggiante” nella mistica islamica che rivaluta in toto il ruolo di Iblis il maledetto. Ed è proprio la maledizione divina, a suo modo, un desiderabile atto di considerazione da parte di un Dio che avrebbe potuto benissimo ignorare ogni creatura. In altre parole la maledizione divina rivela la sua profonda natura di “prova”, la seconda prova, quest’ultima brillantemente superata da Iblis: ha fatto del suo infamante epiteto “il maledetto” il proprio titolo d’onore. Farid al-din ‘Attar, mistico e poeta persiano riporta un’estensione della storia coranica della caduta di Iblis, non appena Dio lo condanna, Iblis risponde così: <<“[…] Le altre creature Ti chiedono misericordia mentre io, figlio degenere, raccolgo la Tua maledizione. Si può essere Tuoi servi sia nella misericordia che nella maledizione ed è evidente che io, rifiutato da Te, sono un tuo servo maledetto!”>>. Al-Hallaj nel Tawasin, va oltre e propone la più grande rivalutazione del Satana coranico che viene visto come il prototipo del monoteista sincero. Lasciamo ancora una volta la parola ai testi di Hallaj che analizzano il non detto del testo coranico: <<Gli fu detto: “Prosternati!”, e lui (Iblis) rispose: “Non ad altri che Te!”. Gli fu detto: “Anche se dovessi maledirti?”, e lui replicò: “Non mi recherà danno: non conosco altra strada che quella che porta a Te, e sono un amante infelice!”>>. Iblis ha compreso la vera prova nascosta al di sotto di quella apparente, cioè di obbedire all’ordine divino di prostrarsi. Iblis qui rivela di aver compreso il significato celato (batin) della situazione, la vera prova non era l’obbedienza nei confronti dell’ordine divino bensì la fedeltà totale e incondizionate di un innamorato, di un amante (la figura dell’amante è tipica della tradizione mistica in tutte le religioni). Iblis, proprio attraverso la disobbedienza, si mostra un perfetto monoteista: non può inginocchiarsi di fronte all’uomo perché sarebbe una chiara violazione del Tawhid, l’unicità di Dio, egli infatti, dice, s’inginocchierà “non ad altri che a Te!”. Iblis comprende che prosternarsi ad Adamo avrebbe significato riconoscere un’altra entità esterna all’Unità divina. Dio quindi paradossalmente avrebbe tentato Iblis con un atto di spudorata idolatria. Il testo di al-Hallaj però sorprende ancora con la sua poeticità: <<Continuò Mosè (tutto lo scritto è un dialogo tra Mosè e Iblis): “E adesso ti ricordi ancora di Lui?”. “O Mosè -rispose Iblis- il vero ricordo non ha bisogno di ricordare. Io sono il ricordato, come Lui è il ricordato. Il ricordato di Lui è il ricordo di me e quello di me è il ricordo di Lui: come potrebbero due che si ricordano non trovarsi insieme? Il mio servizio nei Suoi confronti è ora più puro, il mio tempo è più vuoto, il mio ricordo è più dolce, perché nel tempo primordiale io Lo servo per il mio piacere, e ora Lo servo per il Suo piacere”>>. Al-Hallaj crea in Iblis una nuova identità: fa di lui un eroe dell’Amore, perché attraverso la prova, egli è emerso come il primo impareggiabile mistico amante. Ed ecco allora concludiamo questo breve excursus sulla figura del Satana coranico con le parole che Hallaj, sempre nel suo libro, fa dire a Iblis: <<“Abbiamo innalzato il nostro desiderio al di sopra dei divieti della Legge, dell’utile o del danno. Quando mi ha scacciato, Egli mi ha isolato e reso unico, affinché non venissi confuso con i devoti. […] Anche se il mio tormento nel fuoco infernale dovesse durare per l’eternità dell’eternità, ebbene io non mi umilierei davanti a una persona o a un corpo, perché non riconosco nessuno come Suo rivale o figlio!”>>.
Fabio Darici
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