«Da dove vengo io, se il governo dice che uno è colpevole, allora è innocente. È diverso qui?». Nadya Light, da immigrata russa, lo sa bene. Sono queste le parole che mi sono annotato in una delle piccole sale di un cinema urbano, tra scale in cemento e numeri e lettere alla vagone merci. Ad Atlanta non è diverso. Richard Jewell lo saprà bene. Il mondo lo chiamerebbe eufemisticamente «omino Michelin», ma la sua sensibilità gli ha fatto guadagnare l’appellativo di «Radar» dal vecchio amico Watson Bryant. Certo, può diventare insopportabile un omone che vive con la mamma Bobi e frequenta un unico compagno di giochi, sogna di diventare poliziotto senza mai riuscirci (riducendosi alla serie B della security, alla collezione d’armi o di punti con la light gun) e continua a ripetere «È la procedura» o «Va bene» davanti alle ingiustizie dei giusti federali. Tuttavia Richard Jewell non può essere qualcun altro rispetto a ciò che è: egli fa parte di quella bellissima razza di sognatori che compiono fino in fondo il loro lavoro ben piantati a terra, tanto da apparire ridicoli, finché non stupiscono tutti in qualche modo. In tal modo Richard diventa l’eroe di Centennial Park. E chissà perché il governo finisce per prendersela con gli innocenti. Magari copulando con la Kathy Scruggs di turno. Pace all’anima sua. E l’eroe diventa il mostro della bomba.
Clint ci fa seguire passo dopo passo, a colpi di cuore, la storia di Jewell. Dai problemi di pancia, alle interiori arrabbiature che faticano ad affiorare, all’affettività semplice e strana di un pacifico uomo qualsiasi degli USA che ha commesso la colpa di prendere sul serio i particolari del suo lavoro, animato da quel sogno alto di far parte delle forzedell’ordine. Ed è proprio l’FBI, braccio operativo del Dipartimento di Giustizia, che si fregia dell’alto motto «Fidelity, Bravery, Integrity», a rivelarsi la tortura di Richard nella squadra di Tom Shaw unita all’assedio dei media. Sia il governo che i giornalisti sono coloro che non guardano la realtà nei particolari inspirati da un ideale, ma mascherano la realtà, l’inettitudine e le voglie con principi creati ad hoc. Il povero Jewell, unito a Watson e Bobi, calcando botte e risposte, qualche sorriso, incazzature e lacrime, in una lotta pubblica che interseca un’intimità violata, capirà che Shaw e i suoi non sono il governo, ma quattro stronzi che lavorano per esso; che nessuno di loro vale più di lui; riuscirà soprattutto a vincere seguendo il sogno che altri imbrattano: vincerà le false accuse e diventerà un poliziotto.
«È diverso qui?». Qui in Italia è diverso? Devo dire che mi sono un po’ commosso alla fine del film, quando Richard e Watson siedono alla tavola calda. Come mi sono scaldato d’ira alla vista della giornalista dell’«Atlanta-Journal Constitution». Ringrazio Eastwood per averla rappresentata altresì nel suo ravvedimento al volgersi della trama. In Italia non è diverso. Ci sono stati grandi casi di innocenti colpevolizzati sotto i riflettori: Enzo Tortora, Angelo Rizzoli,… Sono accadute e accadono bizzarre peregrinazioni politiche verso la magistratura per distruggere l’avversario politico invitto. I primi e le seconde, ambedue accompagnati dall’arma distruttiva della stampa e della radiotelevisione. Ultimamente si aggiungono i media. A proposito, ho avuto contatti con alcuni giornalisti di diversa estrazione e devo dire che in linea di massima a tale categoria non manca l’immaginazione, il condimento artificioso e alla voltealchemico della realtà. Filippo Facci recentemente ha scritto che i giornalisti sono solo gli sguatteri degli storici: «raccolgono fatti e li mettono in fila, poi, se credono, possono esprimere delle loro opinioni. Poi i fatti li si può interpretare, ma sino a un certo punto» (cfr. Libero, 11 gennaio 2020, p. 10). Il problema è che l’interpretazione sovente trapassa il punto, tradendo la funzione salvifica della parola e offrendo parole vane, entro una società che scrive per flussi di coscienza quello che non direbbe mai «de visu» ed è paradossalmente sempre attenta alle parole – alla loro superficie, al loro essere pretesto –, sempre alla finestra del web, per vedere ed essere vista, usando e gettando parole di cui è avida e prodiga. Ad ogni modo, al di là dei grandi casi e delle bizzarre peregrinazioni, anche gli uomini qualunque che cercano di compiere con perizia il loro lavoro devono fare i conti con l’assioma di Nadya. Magari ritrovarsi su di un quotidiano locale o nazionale perché c’è chi ama spedire avvisi di garanzia come dépliant pubblicitari; salvo poi scoprire – e spesso ci vogliono anni agri e tristi – che il solerte lavoratore non è accusabile di nulla.
Ahinoi, anche qui non è diverso. E sebbene anche qui talvolta sembra di trovarsi tra Tutti dentro e Un borghese piccolo piccolo di Sordi – tra eccesso e mancanza di giustizia –, farà bene al cuore sentir battere quello di Jewell nell’ultima pellicola del regista Clint Eastwood. Magari diventeremo infine meno manettari e più garantisti. Un pelino più sognatori coi piedi nei particolari.
Emanuele Giraldo
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