Lo-Fi Hip Hop

Cominciò tutto qualche anno fa, quando durante una sessione d’esami particolarmente intensa mi imbattei, tra una playlist di musica classica e una di onde alfa bineurali, nel canale YouTube di ChilledCow. Probabilmente ciò che mi attirò di più fu l’immagine di anteprima, che poi si rivelò essere una scena lunga pressapoco tre secondi, riprodotta in loop, di una ragazza in stile anime/Miyazaki che scriveva su un quaderno mentre ascoltava della musica. Ciò che ascoltavo provenire dalle mie cuffie era qualcosa di strano e non immediatamente definibile: i suoni ritmati ma pacati anch’essi perlopiù in loop erano intermezzati da effetti audio che richiamavano alla mente il nastro danneggiato di un audiocassetta o il sovrapporsi di due canali radio. Avevo appena scoperto il Lo-Fi Hip Hop, un genere musicale essenzialmente strumentale caratterizzato da forti note malinconiche e nostalgiche. Una miscela che pescava da diversi generi musicali: la qualità un po’ rozza e primitiva del bluegrass, l’ideologia punk contro il potere, il carattere indipendente dell’indie e le influenze elettroniche del vaporwave, il tutto condito da quella che forse è la sua antenata più diretta, la noise music del movimento Japanoise.

Lo-Fi è l’abbreviazione di Low Fidelity e descrive un tipo di musica con una qualità sonora molto povera perché solitamente registrata con strumentazione fai-da-te in modo amatoriale. Quando troviamo, quindi, per la prima volta il termine Lo-Fi nello scenario musicale esso presentava un’accezione piuttosto negativa e prettamente tecnica, chiaramente in opposizione al termine Hi-Fi che prometteva una riproduzione sonora ad alta fedeltà. Nel 1977 R. Murray Shafer descrive il Lo-Fi in The Tuning of the World con queste parole: “Abbreviazione di low fidelity, ovvero un rapporto segnale-rumore sfavorevole. Applicato agli studi del paesaggio sonoro, un ambiente Lo-Fi è un ambiente in cui i segnali sono sovraffollati, con conseguente mascheramento o mancanza di chiarezza.” Nel 2003 l’Oxford English Dictionary riportava la seguente definizione: “Un genere di musica rock caratterizzata da una minima produzione da cui risulta un suono rozzo e non sofisticato”; per arrivare qualche anno dopo, nel 2008, ad un’ulteriore chiarificazione del termine: “Rozzo, amatoriale, o tecnicamente non sofisticato anche utilizzato come scelta estetica deliberata”.

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Il termine Lo-Fi in realtà descrive ben più che un genere musicale, potremmo infatti associarlo ad un movimento controculturale che fa dell’imperfezione il suo cavallo di battaglia. L’estetica Lo-Fi si fonda su un positivo apprezzamento di ciò che percepiamo o consideriamo di norma come un’imperfezione nella registrazione, dando una particolare enfasi all’imperfezione tecnica in un mondo dove la perfezione iper-tecnicistica è tutto. Il Lo-Fi assume una prospettiva romantica di avanguardia controculturale nei confronti del mainstream musicale delle icone del pop e delle grandi case discografiche. In questo senso il Lo-Fi diventa la bandiera di tutto un segmento della popolazione considerato strano, bizzarro o emancipato, di chi, per esempio, non è riuscito a sfondare nella scena dello spettacolo, di chi continua fare musica nei garage, di quelli che giocano a d&d negli scantinati, di coloro che rimangono in disparte durante una festa. In qualche modo il sound del Lo-Fi esprime una sorta di ansietà e ambivalenza nei confronti della modernità e della tecnologia digitale; predilige i colori morbidi di un film di Wes Anderson piuttosto che la scintillante armatura di un Iron Man, ama la lentezza e la ripetitività più che la frenesia moderna, ed ha un mood sempre nostalgico come a ricordare le passate visioni di un futuro che non si è mai avverato.

Così come la mela bacata nella Canestra di frutta di Caravaggio è simbolo dell’imperfezione umana, cioè del peccato originale, in ugual modo l’interferenza musicale e la povertà tecnica sono simbolo, nel Lo-Fi, dell’imperfezione amatoriale musicale. Entrambi, il peccato e l’imperfezione musicale, vogliono ricordarci chi siamo e che non esiste un mondo perfetto, perché proprio nelle nostre mancanze e limitatezze noi siamo pienamente umani.

Fabio Darici

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