Il Sigillo degli Abissi

Questo breve racconto dell’orrore in chiave lovecraftiana esce oggi su Pixidis in concomitanza con la tradizionale festa di Halloween, festa dalla natura controversa e ambigua, sulla quale però non ci soffermeremo così da poterci immergici immediatamente nella narrazione.

“In ogni racconto horror che si rispetti ci sono tre livelli di paura/disturbo: la repulsione, l’orrore e il terrore.”

S. King

 

Fuoco. Un incendio di colori si specchiava nell’acqua color pastello della laguna. L’unico momento della giornata, anzi no, forse dell’intera settimana, in cui la bellezza si dispiegava in tutta la sua maestosità. E durava esattamente il tempo di percorrere in treno il ponte che collega la Serenissima alla terraferma. Il Ponte della Libertà. Questo è il suo nome. E in effetti seduto comodamente su uno dei morbidi sedili blu-elettrico del regionale veloce 2247, sedile esclusivamente direzione treno lato sinistro, si può provare una completa sensazione di libertà, ammirando il tramonto che diventa crepuscolo e poi oscurità. Questo spettacolo doveva essere vissuto nel più completo silenzio. Silenzio unicamente interiore dal momento che il treno delle 19:12, carico di pendolari, non concedeva altro. Il vasistas aperto sopra il mio posto permetteva allo sferragliare del treno in corsa di creare una sorta di rumore bianco che attutiva le voci delle persone vicine. Concentrandosi su quel rumore ritmato e sul fulgore del tramonto si poteva raggiungere uno stato di simil-trans o forse solo assopimento, che però leniva in qualche modo la fatica del giorno.

 

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In breve tempo le tenebre avvolsero il treno, e la mia attenzione si spostò dal finestrino al Kindle che avevo in borsa. Non avevo la forza mentale di leggere qualcosa che riecheggiasse lo studio quotidiano. Orientalismo di Said sarebbe stata la scelta più ragionevole: la percentuale in basso a sinistra sullo schermo mostrava un 24%. Non male, pensai. Sono solito cominciare più libri e portarli avanti in parallelo. 31%… percentuale significativa per Dans Macabre di S. King. Dans Macabre non è un racconto, ma un saggio. Un saggio sull’horror. Vi siete mai chiesti perché una persona dovrebbe guardare un film horror o legge un libro horror? Perché l’uomo invece di fuggirne ne sembra attratto? Sembra che rimanga invischiato in una sorta di perversione, di piacere o soddisfazione, nel leggere, per esempio, di un serial killer che squarta una giovane donna. Queste sono le domande poste all’inizio del saggio, e nonostante fossi appena all’inizio mi ero già fatto un’idea sulla risposta.

Fui interrotto nella lettura dalla dolce decelerazione del treno: stavamo arrivando alla stazione di Mestre, tappa intermedia tra Venezia e Padova. Rivolsi nuovamente il mio sguardo fuori nella notte. Le luci al neon della stazione, sebbene ancora lontane, gettavano lunghe ombre sui muri in calcestruzzo e sui pali che sostenevano i fili per fornire l’energia alle motrici dei treni. Colsi un movimento sfuggente che proveniva dalla coda del treno. Lo percepii nuovamente poco più in la, circa sei rotaie più a sinistra. Un’ombra scivolava agilmente tra i binari. Si spostava in modo anomalo, ad una velocità intermedia tra una camminata e una corsa: ondeggiava e non manteneva una posizione costante nel procedere, a volte sembrava incespicare o forse no, forse era solo il suo modo di muoversi. Ora si trovava alla minima distanza dalla mia posizione, ma ancora troppo lontana per riconoscerne le forme. Il treno riprese lentamente a muoversi per raggiungere la stazione, ma io non volevo spostare lo sguardo da quella creatura. Colsi ancora pochi attimi spiando dallo spiraglio tra il mio sedile e la finestra dietro di me e poi scomparve nel buio.

Il treno era ormai giunto alla stazione di Mestre dove la maggior parte dei pendolari sarebbe scesa lasciando il mio vagone semivuoto. Erano rimaste forse cinque persone nella carrozza, di tre né ero certo: un ragazzo e una ragazza che due serie di sedili più in là si scambiavano effusioni al limite del pudore e un uomo in giacca e cravatta che sfoggiava il suo nuovo auricolare bluetooth in maniera alquanto irritante parlando di politica monetaria e quantitative easing a qualcuno cui, sono convinto, non gli importava un fico secco se Mario Draghi non aveva intenzione di abbassare ulteriormente il costo del danaro o chissachè. Insomma, ordinaria amministrazione. Il treno stava ormai per ripartire, ancora venti minuti e saremmo arrivati a Padova. Stavo già tornando ai miei pensieri quando un colpo secco proveniente dal fondo della carrozza ridestò la mia attenzione nei confronti del mondo esterno. Qualcuno era giunto al treno qualche secondo dopo la chiusura delle porte, ma ancora in tempo per premere il pulsante per forzarne l’apertura. Le porte si aprirono e si richiusero. Non avevo una visuale sulla persona che era entrata, ma percepivo la sua camminata lungo la carrozza. Strascicava una gamba e si moveva con lentezza, ma continuava ad avanzare verso il punto dove mi trovavo io. Il suo arrivo fu preceduto da un pungente odore di marcio misto a salsedine. Non era il solito odore di sporco e sudore che si poteva gustare su un regionale veloce nei primi tiepidi giorni di aprile. Emanava un miasma che viziava e infettava l’aria circostante. Mi passò accanto e si sedette in uno dei quattro posti liberi di fianco a me in direzione contraria al moto del treno. Vestiva un ampio maglione e dei pantaloni logori che gli coprivano i piedi. La testa nascosta dal cappuccio del maglione era appoggiata al finestrino. Mi scoprii a fissarlo come spesso mi accade a causa della mia morbosa curiosità. Probabilmente se ne accorse perché di scatto si girò verso di me fissandomi negli occhi.

Non fu tanto il volto quello che mi sconvolse, seppur quasi privo di tratti umani: la pelle squamata e deformata di un pallore verdognolo. No, furono gli occhi quelli che suscitarono in me l’orrore più profondo che avessi mai provato. La pupilla di tenebra non era circondata dall’iride, e il corpo ciliare era pressoché dello stesso colore. Occhi ittici che nascondevano un terribile segreto. Occhi magnetici mi comunicarono una serie di immagini spaventose quasi telepaticamente. Torri e guglie di un mondo sommerso si innalzavano contorte e mostruose da una città inabissata. L’architettura non assomigliava a nulla di esistente sulla terra. Le proporzioni e le forme, assolutamente innaturali simili ad escrescenze tumorali, creavano edifici che si compenetravano a vicenda. E poi  le grida, innumerevoli grida che si levavano da immense piazze gremite di esseri deformi, grida che inneggiavano a qualcosa. Litanie di un popolo dimenticato per dei dimenticati. Gli esseri, più simili a pesci che a uomini, si muovevano circolarmente attorno ad un enorme groviglio di spirali basaltiche che formavano una specie di crux ansata. Dalle invocazioni che i mostruosi esseri pronunciavano rivolti ad essa, si poteva supporre che si trattasse di una qualche sorta di altare (solo successivamente, compiendo varie indagini e ricerche presso la Biblioteca Marciana a Venezia  rinvenni un antico manoscritto di un autore arabo, tale Abdul Alhazred meglio conosciuto come “l’arabo pazzo”. Il manoscritto intitolato Al-Azif, tradotto in lingua occidentale come Necronomicon, descriveva la crux ansata non come un semplice simbolo ma più che altro come un sigillo. Se questo sigillo avesse funzione di protezione nei confronti di chi sigillava o se d’altra parte servisse a costipare qualcuno o qualcosa non era dato sapere).

 

Pagina-Necronomicon

 

Rinvenni improvvisamente da quelle visioni terribili trovandomi faccia a faccia con quell’essere nauseabondo. Non riuscivo a muovermi, il mio corpo era intorpidito e non rispondeva ai miei comandi. Era una sensazione orribile e in quel momento la paura si impossessò di me. Quella situazione durò ancora qualche lunghissimo secondo, poi la creatura che stavo fissando distolse gli occhi da me e mi alitò contro. L’odore di pesce marcio mi investì lasciandomi atterrito e incapace di reagire. La creatura si alzò e si diresse all’uscita del vagone per scendere alla prossima stazione. Dovevo scendere pure io alla prossima. Un nodo mi si strinse alla gola, nessuno nel vagone sembrava essersi accorto di nulla, ma io cosa dovevo fare ora? Raccontare a qualcuno ciò che era accaduto? Oppure inseguirlo? E poi, cosa, ucciderlo forse? Come se fosse possibile eliminarlo… mi aveva tenuto in pugno per mezz’ora solo con lo sguardo. No, non potevo seguirlo e di certo nessuno mi avrebbe creduto. Rimaneva un’unica soluzione. Appena lo speaker annunciò l’arrivo in stazione, mi alzai e mi diressi verso l’altra uscita del vagone, allontanandomi il più possibile da quella creatura.

Forse mi crederete un vigliacco, ma io non mi sono pentito allora di ciò che ho fatto né mi pento ora. Da quel momento in poi non vidi più quella creatura o creature simili, ma ogni qualvolta mi avvicinavo al mare, quando andavo in vacanza con gli amici o più tardi quando semplicemente mi spostavo in un luogo più vicino a quella sterminata distesa d’acqua, cresceva in me una sorta di repulsione e nausea. Ben presto la sola idea mi provocava prima disgusto e poi terrore. Con il passare degli anni mi trasferii sempre più lontano e più in alto: una sorta di istinto di conservazione si era attivato in me e mi imponeva di fuggire dal mare.

Erano passati ormai trent’anni da quell’incontro e fu allora che le limitate notizie che riuscì ad avere in quello sperduto rifugio dove ero scappato, mi sconvolsero. Il mare si era alzato, una marea eccezionale aveva colpito tutte le coste del mondo lasciando al suo defluire un orda sterminata di uomini-pesce: una specie anfibia mai vista prima, intelligente e con poteri mentali in grado di soggiogare le menti più deboli. Conoscevo molto bene quegli esseri. Mossi da un odio spietato spazzarono via come una tempesta tutte le principali città costiere. Quindi, risalendo i fiumi, si infiltrano nelle città fluviali prendendone facilmente il controllo. Più della metà della popolazione mondiale, che viveva lungo coste e fiumi, era stata sterminata; a resistere al Diluvio Verde (così almeno, ciò che rimaneva dei mezzi di comunicazione, chiamavano gli invasori venuti dal mare) erano rimaste solo le città e le fortezze incastonate sulle montagne. Qui l’ultimo baluardo dell’umanità si preparava a sostenere l’assalto dell’abisso. Uomini e donne temprati dall’ambiente duro e rigido delle montagne resistevano meglio di chiunque altro sia fisicamente che mentalmente al Diluvio Verde. La speranza degli uomini era flebile come la fiamma di un focolare martoriata dal gelido vento dell’inverno.

 

jorge-jacinto-vision-of-terror

 

Ma il nemico doveva ancora sfoderare la sua arma più terribile. Nelle profondità degli abissi si celava sigillata la più terrificante delle progenie che avesse mai messo piede su questa terra. La stirpe dei Grandi Antichi, di Cthulhu il Gran Sacerdote, di Bokrug la Grande Lucertola d’Acqua, di Ghisguth il Suono degli Abissi, di Shathak la Morte Rinata, di Zoth-Ommog Colui che dimora negli Abissi e di molti altri, tutti in attesa di essere risvegliati dalle grida e dal sangue degli olocausti compiuti dai propri adoratori, le creature del Diluvio Verde.

Fabio Darici

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