Seven Seas of Rhye

“In his house at R’lyeh, dead Cthulhu waits dreaming”

“Nella sua dimora presso R’lyeh, il morto Cthulhu attende sognando”

Tutto e di più è già stato scritto su Freddie Mercury e i Queen. Devo ammettere, credevo che il funerale zoroastriano richiesto da Freddie per la sua morte fosse abbastanza sconosciuto e interessante al tal punto da ricavarci uno scritto, ma internet mi ha subitamente inondato di articoli più o meno seri riguardo questo tema. Sebbene la maggior parte di essi citassero solamente il particolare rito funebre, senza approfondire le modalità e la complessa ritualità mazdea in relazione alle celebrazioni funerarie, mi sembrava leggermente fuori tema spostare tutta l’attenzione sulla religione di Zarathustra, lasciando al povero Freddie solo l’incipit iniziale e relegandolo a mero clickbait, per poi parlare d’altro.

Lasciando quindi ad altre occasioni la religione degli adoratori del fuoco e le loro torri del silenzio sulle quali gli avvoltoi si cibavano delle carni dei defunti, desidererei, in questo articolo, portarvi una sensazione che ho avuto mentre ricercavo materiale per lo stesso. Vorrei farvi partecipi, cari lettori, della particolare – e inquietante? – assonanza tra R’lyeh, la lovecraftiana città sommersa dove risiedono gli Antichi Dei, e Rhye della canzone Seven Seas of Rhye, appunto dei Queen, album Queen II. Su questo tema, internet ci lascia un po’ più spazio di manovra, essendo presente, l’associazione tra i due nomi, solo in paio di forum. Se il contesto della canzone fosse diverso probabilmente il termine Rhye non sarebbe così assimilabile alla cosmologia di Lovecraft, ma alcuni punti chiave del testo richiamano i temi cari allo scrittore di Providence. “Fear me you lords and lady preachers” inizia così la canzone delineando subito il rapporto tra il protagonista e pubblico che ascolta, una relazione basata sulla paura. Seguono subito dopo due versi “I descend upon your earth from skies / I command your very souls you unbelivers” (Scendo sulla terra dai cieli / comando i vostri stessi cuori, voi miscredenti), e a conclusione della prima strofa troviamo quindi “Bring before me what is mine/ The seven seas of Rhye” (Portatemi davanti a me ciò che è mio/ i sette mari di Rhye). Beh, che dire, se la canzone si fosse conclusa qui avrei quasi sicuramente associato queste poche parole alla bocca di Cthulhu, progenie di quegli Antichi Dei che secondo Lovecraft provenivano dallo spazio profondo e che attendevano il giusto momento per risvegliarsi da R’lyeh, la loro città sommersa in fondo all’oceano. Il resto della canzone declina poi altri temi più ordinari, ma torna a strizzare l’occhio nei confronti del nostro Lovecraft in almeno un altro verso: “I’ll defy the laws of nature and come out alive” che sembra un po’ un richiamo agli orrori cosmici lovecraftiani sempre in contrasto con le normali leggi della natura e della logica, completamente al di là di ogni ragione umana. L’alone di mistero che circonda questa canzone non viene di certo dissolto dall’intervista fatta da Freddie durante una trasmissione radio nel 1977, nella quale il cantante diceva che il soggetto di Seven Seas of Rhye era un “figmento della sua immaginazione”. Diventa pure più nebuloso, se prendiamo in esame altri piccoli particolari: nell’album Queen II la canzone termina con un fade di strumenti, lasciando la band a ripetere una frase “I Do Like to Be Beside the Seaside”, citazione di una più vecchia canzone cantata nel 1909 da Mark Sheridan, che sembra una sorta di richiamo nostalgico e irresistibile al bagnasciuga e per estensione alle profondità marine. Nella prima versione, invece, il titolo della canzone presentava dei punti di sospensione alla fine (Seven Seas of Rhye…), come se la canzone stessa non fosse completa, e in effetti, la durata anomala di appena 2:48 minuti, pochi per lo standard dei Queen, lascia leggermente interdetti.

I punti di contattato sono quindi molteplici ma nessuno di essi è una prova definitiva per confermare il legame tra Lovecraft e Seven Seas of Rhye. Se non altro è un ulteriore indizio della fervida immaginazione che Freddie riversava, non solo nella sperimentazione di armonie innovative incrociando diversi generi musicali, ma anche nei contenuti stessi delle canzoni. Tutto l’album Queen II è infatti un ricettacolo di miti e personaggi fantastici nati dalla mente di Freddie, da The March of the Black Queen a Ogre Battle, da My Fairy King a The Fairy Feller’s Master-Stroke.

Così dunque, concludendo, non mi resta che annoverare il buon vecchio Freddie Mercury tra gli autori mitopoietici, in compagnia di Tolkien, Lovecraft, Lewis, Chesterton e di tanti altri. Ricordandovi, alla fine di questo breve articolo, quanto diceva Tolkien nel suo poema Mitopoeia (che comunque vi consiglio di leggere in toto) riguardo a coloro che si dedicano alla creazione di miti e leggende: 

Beati i creatori di leggende e rime
di cose introvabili nelle trame del tempo. 

Che la Notte non hanno scordato preferendo il piacere organizzato,
di un prospero indorato isolotto
a dannarsi per il bacio di una Circe. […]

Non marcerò in riga con le vostre scimmie savie erette ed evolute. […]

Non marcerò per strade spente e piatte 

per formule precise, frasi fatte

nel mondo immutabile ove chi fa con l’arte di creare nul parte ha.


Non chinerò il capo al Dominio di Ferro interrando il mio piccolo scettro d’oro.” 


Fabio Darici

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