La Messa di Saint Secaire

“La spiegazione storica, la spiegazione come ipotesi di sviluppo è solo un modo di raccogliere i dati – la loro sinossi. È ugualmente possibile vedere i dati nella loro relazione reciproca e riassumerli in una immagine generale che non abbia la forma di uno sviluppo cronologico” – L. Wittgenstein su “Il Ramo d’Oro” di J. G. Frazer

“Noi non crediamo più come faceva Grundtrig, cioè che dietro le porte delle nostre città, nella vicina campagna, ci sono vasti, poetici e pagani pascoli dove si possono ancora sentire canzoni, miti e il diffuso mormorio del folkelighed (lett. quello in cui crede la gente). Queste voci non possono più essere ascoltate se non all’interno dei sistemi scritturali dove esse ricorrono. Si muovono, come danzatori, passando leggiadramente attraverso i campi di un altro” – Michel de Certaux

J. G. Frazer nel suo “Il Ramo d’Oro”, un volume di più di 800 pagine, inserisce un breve intermezzo di poco più di una pagina nella quale descrive la messa di Saint Secaire. Difficile non rimanere colpiti delle vivide impressioni che generano quelle poche righe, sembra come immergersi all’improvviso in una scena di un romanzo di Edgar Allan Poe.

Il punto però è che Frazer non è un romanziere, ma un antropologo e ciò che scrive dovrebbe essere realmente accaduto, pertanto o egli aveva partecipato in prima persona al fenomeno descritto o aveva una qualche tipo di fonte a cui potersi affidare. Ma facciamo qualche passo indietro, cos’è la messa di Saint Secaire? Il rito viene celebrato nella regione della Guascogna, nella Francia Occidentale incastonata tra i Pirenei e l’Oceano Atlantico, di notte presso una chiesa sconsacrata da un “prete” e dalla sua concubina. Come avrete probabilmente intuito si tratta di una messa nera, e, si lo so, magari qualcuno di voi è stato attratto dalla prospettiva occulta di questo articolo, ma non è mia intenzione descriverne precipuamente i vari passaggi, cosa che peraltro potete benissimo trovare sul web. Più che la descrizione e analisi del rito mi riservo qui il piacere di farvi partecipi della mia ricerca su questo fenomeno, effettuata in maniera discontinua e probabilmente manchevole di scientificità accademica, imputabile perlopiù a limiti di tempo personali, ma anche a motivi contingenti e legati alla frammentarietà e farraginosità nonchè all’origine dossografica delle fonti.

La messa di Saint Secaire sembra essere abbastanza mainstream sul web, o almeno per una parte degli internauti che si interessano di antropologia, religione e occulto. In effetti una breve ricerca vi farà apparire svariati risultati, tuttavia ognuno di questi riporta solo poche righe e riprende perlopiù la descrizione che ne fa Frazer; ne consegue quindi che l’interesse sia decisamente di carattere superficiale, legato ad ambienti che ammiccano all’occulto, al neopaganesimo o al satanismo. Si tratta di una visione un po’ banale e poco approfondita del fenomeno, ma come dicevo poc’anzi lungi da me il voler trattare qui una storiografia dell’occulto o della magia nera. Il punto che ho trovato più interessante non è tanto il fenomeno in sé quanto più che altro il percorso per trovare più informazioni a riguardo. 

Ricapitolando, la messa di Saint Secaire è una messa nera e, bene o male, ricalca dei topos conosciuti: la messa viene recitata in una chiesa sconsacrata, a mezzanotte e naturalmente al contrario, viene invocato il diavolo, la particola è nera e triangolare, mentre il vino è sostituito dall’acqua di un pozzo dove è stato gettato il corpo di un neonato non battezzato, etc.

La particolarità della messa di Saint Secaire è quella però di essere una messa-contro, cioè volta a perpetrare degli effetti negativi contro qualcuno. In effetti tale celebrazione ha il preciso scopo di eliminare la persona che il richiedente ha indicato, egli infatti viene colpito da un male incurabile e muore in poche ore.

Ora uno dei primi passaggi che verrebbe in mente di analizzare con i pochi elementi che la descrizione di Frazer ci propone è il nome stesso di Saint Secaire. Chi è mai infatti questo santo a cui è intitolato un così orribile rito? Non esiste una singola traccia o fonte che faccia riferimento a questo santo. Il nome più vicino associabile a Saint Secaire è Saint-Cesaire, ma a parte per l’assonanza non c’è nulla di più. Tuttavia leggendo una fonte francese di cui parleremo più avanti, peraltro confermata da Pooley, W. G. (2012) in Can the “Peasant” Speak?: Witchcraft and Silence in Guillaume Cazaux’s ‘The Mass of Saint Sécaire.’ Western Folklore, 71(2), 93–118, Sacaire è in realtà un verbo francese che tradotto significa “seccare”. In effetti sia Frazer, sia la fonte francese di cui sopra indicano come conseguenze della messa nera sulla vittima la privazione del sangue e della sua forza vitale, ossia, in altre parole come se essa si seccasse (“puor faire sécher peu à peu leurs ennemis”).

Svelato quindi il mistero attorno al nome, non ci resta che cercare le fonti prime che Frazer ha utilizzato. Orbene qui iniziano le vere difficoltà perché nelle varie edizione italiane de “Il Ramo d’Oro” non vengono riportate le note a piè di pagina, probabilmente per una questione legata alla praticità e alla eccessiva lunghezza che ne conseguirebbe. Naturalmente questo inficia tutto un lavoro di ricerca della fonte prima, quindi per supplire a questo problema è necessario rintracciare nel web la versione inglese con le note a piè di pagina. Ecco che dunque troveremo un paio di riferimenti che Frazer fa come fonti a supporto della descrizione del fenomeno della messa nera. Si tratta di una raccolta di racconti popolari della regione della Guascogna redatti da tale F. Bladé nella quale troviamo un capitolo interno dedicato alla messa.

Bladé riporta la descrizione della messa in modo più esteso e dettagliato di Frazer, la sua fonte è il vecchio Cazaux, un popolano di una cittadina della Guascogna, attualmente nella regione dell’Occitania, di nome Lectoure. Alla fine del breve racconto infatti Bladé scrive “Dettato dal vecchio Cazaux da Lectoure. La credenza della Messa di Saint Secaire è ancora molto diffusa in Guascogna. Cazaux è la sola persona che mi ha parlato di tale messa-contro.” 

Cazaux è dunque la sola fonte di Bladé che risulta essere la sola fonte di Frazer, di conseguenza le informazioni legate alla messa di Saint Secaire sono unicamente quelle rintracciate da questa catena di fonti, il che ovviamente rende tutta la struttura del fenomeno abbastanza fragile. Una sola fonte che non può essere confermata da nessun’altra è, almeno per uno storico, una questione scivolosa sulla quale si possono fondare ben pochi ragionamenti.

Bladé cita per la prima volta la messa nel suo Quatorze superstitions populairs de la Gascogne 1883, ma ne da la versione più completa nel suo Contes populairs de la Gascogne del 1885, alcuni scritti come Adjurations et cojurations. Revue de traditions populaires del 1888 di Emile Hamonic e Le paganisme contemporain chez les peuples celto-latins  del 1908 ad opera di Paul Sebillot sembrerebbero riportare fenomeni simili di messe nere con effetti sulle vittime associabili a quelli della messa di Saint Secaire, senza tuttavia riportare mai il nome ormai noto. Naturalmente sarebbe necessaria un’indagine più approfondita a riguardo, ma non sarà questa la sede dove verrà svolta.

Il punto che qui mi sembra opportuno evidenziare è quanto possa essere complesso raggiungere una fonte prima affidabile, cioè confermata da più voci autorevoli. Oggi magari è più facile incrociare i vari risultati di una ricerca per verificare che siano affidabili (internet con la dovuta cautela rende questa possibilità molto più immediata), ma allora, al tempo di Frazer nei primi anni del Novecento tutto ciò era dannatamente più difficile. Frazer si sarà probabilmente chiesto se il passaggio da lui letto nel libro di Baldé poteva essere un valido apporto al suo lavoro sebbene l’unica fonte fosse un vecchio popolano illetterato peraltro recalcitrante, a quanto sembra dalle parole di Baldé, a dire tutto: “So per certo che Cazaux si stava trattenendo dal dirmi tutto quello che sapeva. Morì credendomi indegno di più della metà delle cose che sapeva.” 

Quest’ultima frase la trovo particolarmente adatta per avviarmi verso la conclusione di questo scritto, qui infatti Baldé fa trasparire il punto focale di tutta la ricerca antropologica: c’è uno iato, un enorme abisso tra lo studioso e la sua fonte, tra l’accademia e il popolo. Una subconscia superiorità da una parte: lo studioso che desidera conoscere il folklore popolare per riempire le sue opere; e una diffidenza dall’altra: il popolano illetterato ma furbo, che sebbene sembri volenteroso di raccontare le strane vicende della campagna semi-pagana, si rifiuta di rivelare i suoi segreti più nascosti.

Ed ecco che quindi qui riecheggiano le due citazioni ad inizio articolo, quella Wittegstain che elogia il lavoro di Frazer dichiarandolo come un’opera che dimostra come i dati (i fenomeni, i riti, etc.) possano essere visti nel loro insieme e nelle loro relazioni particolari senza che essi abbiano necessariamente una disposizione cronologica o logica. Una chiara eulogia al difficile lavoro dell’antropologo, e dell’altra però Michel de Certaux che in qualche modo ne evidenzia i limiti affermando che il mormorio del folklighed è ormai perduto e per quanto questo venga riportato nella forma scritta esso si trova in un luogo che non gli appartiene, e a cui non può rimanere legato come dei danzatori che leggiadramente corrono sfuggenti su un prato.

Fabio Darici

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