C’è una ragazza che ci guarda dalla copertina. Le linee in bianco e nero del viso sono belle e strane. Di una semplicità incredibile. Il libro è prezioso e di nicchia: le Internos edizioni pubblicano gli Atti del convegno Indagine sull’opera di Elena Bono. La sacralità della parola e la ricerca della verità; la didascalia sotto il titolo fa crescere la barba: “Atti della giornata internazionale di studi dedicata a Elena Bono, Chiavari, 30 maggio 2019”. La barba però non è sempre uguale: questa è ben spiegata al vento come quella dei profeti. Come la piccola Chiavari spiegata tra i monti e il mare, dove un gruppo di amici spagnoli e italiani, Professori e non, ha alzato il calice alla vecchia amica, chiavarese d’adozione, con un convegno da tanto desiderato e seguito da un resto di giovani e anziani. Ma, bando alle barbe, quella ragazza non smette di guardarci. Sullo sfondo ha un arazzo orientale in cui si ritrova la semplicità del viso. L’oriente fu infatti tentazione giovanile e amore di tutta la vita. Eppure, lì dietro al volto, potrebbe starci qualcosa di araldico, chessò, una miniatura del Cinquecento da La Vie des femmes célèbres di Dufour, con Giovanna d’Arco che conduce le truppe francesi alla battaglia di Orléans. Mettete un elmo pennacchiuto in testa alla ragazza ed indosso la relativa corazza: è lei, la pulzella d’Orléans. A sua immagine, Elena fu una cristiana e profetessa disarmata che non disdegnò la buona spada. Dal momento nichilista della tentazione per l’oriente, si ridestò alla Storia la sera del tragico 8 settembre 1943. Divenne staffetta partigiana e collaborò con la divisione Cichero che ebbe il suo santo, eroe e genio nel ventenne Bisagno, il San Michele che combatteva per tutti anche per i nemici. Come Giovanna, Elena fu un’umile serva della voce che la visitava, “un’antenna ricevente” delle parole sacre che poi doveva liberare in bellezza e semplicità dal marmo grezzo del foglio bianco. Eh sì. Gli occhi che ci guardano dalla coperta del libercolo sono della razza odiosissima dei veggenti e di quelli che vogliono cambiare il mondo: i poeti. Tra i tanti versi, ne scrisse alcuni ispirandosi proprio alla pulzella d’Orléans; allo stesso modo, compose un’opera teatrale dedicata alla Santa. Ma la tragica sera dell’8 settembre incardinò la pietra d’angolo della sua poetica in un solo verso: “così semplice era tutto: chiudere gli occhi e guardare”. E la Bono fu tanto abituata a guardare con gli occhi dell’anima che perfino quando la sua bellezza l’abbandonava e lasciava su un letto un mucchio d’ossa malate e cieche, perfino allora lei vedeva perfettamente. Questo ci colpisce nello sguardo della ragazza. Liriche, pièces e romanzi della Bono sono scritti al buio: perché chiudendo gli occhi e restando in silenzio, si vede il baratro del nostro cuore. Che molte volte è piccolo, intorpidito, prigioniero di sé stesso, tanto abbiamo paura delle sue domande: uno sconosciuto. Se avete paura di cadere, abbiate fede: con Elena è sicuro che lo cavalcone non tiene. Anzi, con lei il cuore e le costole si dilatano. Come scriveva per Giovanna: “un petto non può contenere / il cuore che in sé tutto ha contenuto”. Questo è il cuore della Bono. E cosa vi trovò Elena? Sogni, visioni, le sacre parole della voce che presto si profilarono in un volto. Un giorno, tra la vita e la morte, ella vide un uomo di spalle, ferito, piagato. Si girò e la guardò. Il suo sguardo era di infinito dolore e infinito amore. In esso riconobbe Gesù, l’Uomo-Dio, a cui volle rimanere fedele per l’intera esistenza nella vocazione alla scrittura. Trovò l’Uomo-Dio in fondo al suo cuore. Perciò Emilio Cecchi sostenne che lo scrivere boniano è esso stesso visione: la Bono impianta i cieli, la divinità sulla terra e fonda la terra della nostra umanità nel cielo. Leggere una pagina di Elena è camminare su qualcosa di solido; il “dentro” che ci fa paura e da cui non ci difende nessuno, diventa così concreto da lasciarci la terra attaccata sulle suole delle scarpe. Insomma la sacralità della parola e la ricerca della verità in Elena coincisero con le linee di quel Volto apparso nel cuore, ad occhi chiusi. Le linee di quel Volto coincisero con le linee del suo volto. Perciò, secondo la nostra pulzella, la vera resistenza e la vera battaglia avverrà sempre dentro di sé, tra bene e male, che si dibattono nel nostro buio cuore. Tra il male oscuro e il bene che è ormai coincidente con quel Volto ed è la scelta difficile. Elena scelse tale via stretta e la pagò. Come Giovanna d’Arco, rimase infine sola con il suo cuore. All’inizio osannata, gioiello nascosto della casa Garzanti, ricercata da Visconti e Pasolini, tradotta all’estero. Ma sempre e subito smorzata, allontanata, dimenticata. Per la sua scelta difficile, rimase prima col padre e la madre e poi col marito a Chiavari imitando le recluse. Pubblicò presso il piccolo e coraggioso editore Scapolla e testimoniò che è possibile vivere la vocazione alla scrittura, senza compromessi, ma pagandone le conseguenze. Rimase sola dunque. Sola con quegli occhi sprofondati nell’animo, in fondo, gli occhi che guardano e dopo restano come due piaghe brucianti. Bruciò nel rogo di decenni, recò le ferite come fiori in dono e illuminò nella sua casa chi entrava per farle visita e usciva infiammato. Poiché la pace, per chi ha visto l’Uomo Dio, sta dentro al fuoco. Solo i giovani possono lanciarsi in mezzo alle fiamme e ad essi Elena dedicò la sua opera. Perché la Bono rimase un’eterna fanciulla. Dalla nascita (1921) alla morte (2014). Una ragazza che ci guarda ancora.
Emanuele Giraldo
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